XI Domenica del tempo ordinario – Anno B.

Vangelo
In quel tempo, 26 Gesù diceva [alla folla]: “Così è il Regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; 27 dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. 28 Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; 29 e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura”. 30 Diceva: “A che cosa possiamo paragonare il Regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31 È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; 32 ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra”. 33 Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. 34 Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa (Mc 4, 26-34).
La forza trionfante della Chiesa
Il dinamismo esistente in un seme non è che un pallido simbolo dell’intima, energica e perseverante azione dello Spirito Santo sui fedeli. Di conseguenza, la forza trionfante di quella che fu chiamata ad essere il Regno di Dio – la Santa Chiesa – dovrà ad un certo momento conquistare il mondo intero.
I – Il Maestro per eccellenza
“Mai un uomo ha parlato così” (Gv 7, 46) – fu la risposta delle guardie ai sinedriti, quando costoro, dopo averli inviati a catturare Gesù, li interrogarono: “Perché non Lo avete condotto qui?” (Gv 7, 45). Infatti, che maestro è esistito nella Storia all’altezza dell’unico e vero Maestro? Se il Signore Gesù è il Bene, la Verità e la Bellezza assoluta, per quale motivo non dovrebbe essere anche la Didattica in essenza? Non possiamo dimenticarci che Egli è Dio, in quanto Seconda Persona della Santissima Trinità, pertanto, la sua didattica non può che essere anche sostanziale.

Inoltre, l’Anima di Gesù fu creata nella visione beatifica, possedendo dunque, la conoscenza conferita a coloro che contemplano tutto l’ordine della creazione nello stesso Dio. Se questo non bastasse, ricordiamoci che a Lui fu concessa anche la scienza infusa nel suo grado più elevato, oltre che, in aggiunta a queste insuperabili meraviglie, anche la conoscenza sperimentale. Tutti questi tesori fanno, di chi li possiede, il Maestro per eccellenza. Così, il Signore Gesù insegnava la verità come nessun altro e con eminenti qualità pedagogiche che nessun altro ha avuto fin dai tempi di Adamo, né avrà fino alla fine del mondo. Ne consegue che gli stessi soldati che andarono a catturarLo, per ordine del Sinedrio, si trovarono in un complesso dilemma: disobbedire agli ordini ricevuti o essere obbligati ad agire contro la propria coscienza. Tale era la grandezza manifestata dal Signore nel suo insegnamento, che i soldati furono costretti a optare per il rischio di perdere il posto e addirittura di esser gettati in prigione.
Questa era la luce che si irradiava dalle predicazioni del Divino Maestro, abbracciando anche coloro che, in quella circostanza, erano al servizio del male.
Semplicità ed efficacia del metodo
A monte di qualsiasi altro motivo, dobbiamo affermare che Gesù, per il fatto di essere il migliore di tutti i maestri, avrebbe potuto optare soltanto per il più efficiente dei mezzi di insegnamento e per quanto incredibile possa sembrare, questo Maestro elesse per istruirci forse il più semplice dei metodi, esente da orpelli ed esagerazioni. Nessuna destrezza, né sinuosità, né inutili iperboli. Sprovvisto degli squilibri di retoriche mal concepite, questo suo metodo ridondava delle più chiare e benefiche spiegazioni.
Nonostante Gesù Si basasse sui fatti quotidiani e correnti della vita di allora, essi non persero mai la loro attualità, e così permarranno fino alla fine dei tempi, poiché nelle sue parole si realizza il “veritas Domini manet in æternum – la fedeltà del Signore dura per sempre” (Sal 116, 2). La verità insegnata da Cristo era Lui stesso, pertanto, eterna. Non soltanto per quanto riguarda la sua origine, ma anche per la sua proiezione nel tempo, nei secoli dei secoli. Inoltre, le metafore impiegate dal Divino Maestro sono utili come elementi storici per elaborare una ricostruzione di come era la vita di quei tempi.
Un tema fondamentale: il Regno di Dio
La preoccupazione del Signore non era centrata nel formare grandi letterati, né geni in materia di scienza e neppure artisti eccezionali. Il suo impegno essenziale era rendere ben chiara la dottrina che dava fondamento al Regno di Dio, il quale, nella sua essenza, è costituito dalla stessa Chiesa Cattolica e Apostolica: un Regno militante qui sulla Terra, unito a un Regno sofferente e l’altro ricchissimo e trionfale.
Le parabole di Cristo avevano, infatti, un obiettivo essenziale, oltre ad altri secondari. Tutte, praticamente, si svolgevano intorno a un tema fondamentale: il Regno di Dio. Proprio questo afferma Papa Benedetto XVI: “Il contenuto centrale del Vangelo è: il Regno di Dio è vicino. […] Questo annuncio infatti rappresenta il centro della parola e dell’attività di Gesù”.1
La Chiesa si identifica con il Regno di Dio
È comune e corrente tra i commentatori e gli studiosi, evidenziare il fenomeno che si verifica con i fondatori: se, dopo la loro morte, la loro opera si mantiene tale e quale è stata durante la loro vita, oppure si sviluppa maggiormente, questo è un segnale molto significativo dell’esistenza di un autentico soffio dello Spirito Santo sulla loro persona e la loro attuazione. Si tratterà, in questo caso, di un manifesto desiderio della Provvidenza Divina, di promuovere la fissazione e l’espansione di quell’opera.
Ora, nessuna istituzione ha avuto tanto successo nel corso dei millenni, e più ancora ne avrà in futuro, come la Chiesa Cattolica Apostolica Romana. Si può ritrovare nell’ordine della creazione qualcosa che possa servire da perfetta analogia a questo grandioso fenomeno? Per questo, sarà insufficiente la vitalità contenuta nel seme e nel grano di senape, oggetto della predicazione del Signore racchiusa nel Vangelo di questa domenica. Sarà ancora più insufficiente se consideriamo i trionfi della Santa Chiesa fino al giorno del Giudizio Finale.
Mai si potrà comparare il potenziale dinamismo che esiste in un seme – se non come un pallido simbolo della realtà – con l’intima, energica e perseverante azione dello Spirito Santo sui fedeli. Non esiste alcun ostacolo che impedisca la forza trionfante della Chiesa, poiché essa si identifica con il Regno di Dio per questo dovrà ad un certo momento conquistare il mondo intero.
Questo fatto è stato già registrato in certi periodi della Storia, ma molto di più lo sarà quando per volontà di Dio tutti conosceranno lo splendore della realizzazione delle parole di Nostro Signore: “le potenze degli inferi non prevarranno su di essa” (Mt 16, 18). Ancora una volta, si dovrà riconoscere in questa occasione quanto è patente la divinità del suo Fondatore.
II – La parabola del seme

Nel Vangelo dell’11ª Domenica del Tempo Ordinario, Gesù propone due parabole per mostrare il miracoloso sviluppo della sua Chiesa e la grande efficacia della Parola di Dio che, gettata nelle anime, germina e cresce spontaneamente, producendo abbondanti frutti.
La prima di queste, molto breve, risulta soltanto nel Vangelo di San Marco, essendo omessa da San Matteo e San Luca; il suo senso, pertanto, è profondo e pervaso di ricchezze.
In quel tempo, 26 Gesù diceva [alla folla]: “Così è il Regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno…”
Nell’autorevole opinione dei Santi Padri, presentata e commentata da Maldonado,2 il Regno di Dio è, nella sua essenza, la Chiesa. Per quanto concerne il seme, essi la interpretano come facente parte della predicazione della Parola di Dio. La terra, a sua volta, rappresenta chi ascolta, con una piccola differenza in relazione alla parabola del seminatore, narrata poco prima: in questa sono contemplati soltanto i buoni ascoltatori, quelli che mettono in pratica l’insegnamento evangelico, ottenendo una considerevole raccolta.
Infine, l’uomo che getta il seme è lo stesso Cristo, venuto al mondo “per dare testimonianza alla verità” (Gv 18, 37), come Egli stesso affermerà davanti a Pilato. Tuttavia, data l’intima unione del Signore Gesù con i suoi ministri, e con tutti coloro che col Battesimo diventano figli di Dio, quest’uomo della parabola rappresenta anche coloro che, in nome di Gesù, si dedicano all’annuncio del Vangelo.
Efficacia della Parola di Dio
27 “…dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa”.
Dio ha creato le cose materiali in modo che, analizzando la loro simbologia, l’uomo potesse elevarsi fino ai più alti piani della creazione. Così, il dinamismo che esiste nei vegetali è una bella immagine dell’azione di Dio nelle anime, molte volte silenziosa e impercettibile, come afferma San Gregorio Magno: “il seme germina e cresce senza accorgersene, perché, sebbene ancora non possa notare la sua crescita, la virtù, una volta concepita, cammina verso la perfezione, e la terra di per sé fruttifica, perché, con la grazia, l’anima dell’uomo si eleva spontaneamente alla perfezione del bene operare”.3
Non dimentichiamoci che, secondo quanto scrive Maldonado, “l’obiettivo di tutta la parabola è dimostrare la grande efficacia della Parola di Dio, la quale, per il semplice fatto di cadere nella terra, come è detto nella parabola precedente, anche se non si faccia altro, subito sboccia di per sé, cresce e produce frutto”.4
Più avanti, il dotto gesuita completa: “Proponendo questa parabola, sembra che Cristo avesse l’intenzione non soltanto di dimostrare la grande forza innata della Parola di Dio per germinare di per sé, ma anche di togliere agli Apostoli ogni occasione futura di vanagloria”.5 Il che equivale a dire, con le parole dell’Apostolo: “Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere” (I Cor 3, 7).
Necessità della nostra libera cooperazione
La forza latente in un seme per far germinare la pianta è immagine del vigore stesso della grazia e dei carismi, quando operano nell’anima umana. Ma affinché questo seme nasca e dia frutto, è necessaria la nostra libera cooperazione.
Su questo, afferma il Cardinal Gomá: “Questa terra, commenta Crisostomo, è la nostra libera volontà, perché il Signore non fa tutto nell’opera della nostra salvezza, ma la affida alla nostra libertà, in modo che l’opera sia spontanea. È vero che senza Dio non possiamo fare nulla nell’ordine soprannaturale, ma è certo anche che Egli non ci salverà senza la nostra libera cooperazione. Il frutto della vita eterna è del seme e della terra, di Dio e dell’uomo”.6
In modo analogo, non possono i predicatori non preoccuparsi dei fedeli nei quali hanno seminato: “Tuttavia, qualcuno chiederà: forse Cristo ha voluto insegnare che i predicatori del Vangelo possano rimanere tranquilli, una volta che abbiano gettato nelle anime il seme della Parola di Dio? Assolutamente no. Devono, al contrario, esortare, animare e rafforzare con frequenza coloro che hanno udito la Parola di Dio, in modo che conservino quello che già hanno e non accada che un altro riceva la sua ricompensa o che il demonio estirpi il seme”.7
Interessante è notare, infine, il problema sollevato da Maldonado sull’apparente assenza del seminatore principale, che simbolizza Cristo: “Qualche lettore potrebbe avere dei dubbi su come intendere il ruolo di Cristo in questa parte della parabola, poiché, essendo Lui il principale seminatore della Parola di Dio, se, dopo averla seminata, non facesse nulla nell’animo degli ascoltatori – irrigando loro con la sua grazia, ecc. –, essa non germinerebbe mai più ne darebbe frutto. La parabola si compie in Cristo in certo qual modo, giacché è Egli stesso che, come Uomo, semina e, come Dio, la fa fruttificare. In quanto Uomo, getta il seme, come dopo hanno fatto gli Apostoli, e in quanto Dio, la fa crescere con la sua grazia, come se irrigasse l’anima con una pioggia continua”.8
Le tappe della vita spirituale 28
“Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga…”

Ricca di simbolismo è anche la crescita della pianta. Dopo una lenta germinazione, spunta dalla terra lo stelo, tenero e gracile all’inizio, ma già alla ricerca del Sole. A poco a poco esso va crescendo e sorge una spiga, nella quale si formano i chicchi, frutto desiderato dal seminatore.
Alcuni autori – tra i quali San Beda9 e San Gregorio Magno10 – interpretano questa parte della parabola come un’allusione alle varie tappe della vita spirituale. Simile al grano appena germinato, l’anima, nel momento in cui sboccia la vocazione, è avida di insegnamento e di dottrina, incantata da quello che la conduce al Cielo. Frattanto, la radice necessaria a dar solidità ai buoni propositi ancora non si è formata in lei; soltanto dopo aver affrontato coraggiosamente le tempeste e i venti delle difficoltà, diventerà capace di produrre il frutto gradevole delle buone opere.
San Girolamo, a sua volta, così sintetizza sulla base di questo passo le tre età della vita interiore: prima la pianta, “cioè, il timore, perché l’inizio della saggezza è il timor di Dio (cfr. Sal 110, 10). ‘Poi la spiga’, che significa, la penitenza che piange. ‘E per ultima il grano nella spiga’, ossia, la carità, perché la carità è la pienezza della Legge (cfr. Rm 13, 10)”.11
Le due venute di Cristo
29 “…e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura”.
In questo versetto, il proprietario della piantagione entra nuovamente in scena. In realtà, non si era assentato, ma continuava a vegliare sui chicchi che aveva seminato, come indica Maldonado: “Cristo non smette di prendersi cura del campo già seminato, ossia, noi. Al contrario, ci difende con la sua grazia, perché non accada che satana porti via il seme della Parola di Dio in noi concepita”.12
Pertanto, soltanto in due momenti della Storia diventa palese e manifesta la presenza del Padrone della Messe: la prima volta, per seminare il grano del Vangelo, quando è venuto per salvare e non per condannare (cfr. Gv 3, 17), la seconda, quando apparirà “il Figlio dell’Uomo nella sua maestà” (Mt 25, 31) per giudicare i vivi e i morti; allora Egli getterà la sua falce affilata sopra la messe della Terra, e questa sarà falciata (cfr. Ap 14, 14-16).
III – La parabola del granello di senape
Se nella parabola del seme Gesù ha voluto sottolineare il dinamismo intrinseco della Parola di Dio, alimentata dalla grazia, in quella del granello di senape è posto in rilievo il suo grande potere trasformatore.
Padre Manuel de Tuya così commenta: “Si stabilisce qui la comparazione tra ‘il minore’ che diventerà ‘il maggiore’. Succederebbe allo stesso modo con il Regno: all’inizio, è minimo, sono poche le persone che si uniscono a lui, ma diventerà così grande che in lui ci staranno moltitudini”.13
Aggiunge il Cardinal Gomá: “L’obiettivo della parabola è dimostrare la forza di espansione del seme del Regno di Dio, che Gesù ha portato al mondo. Se, secondo la prima parabola, si salva appena una parte di questi semi, e anche questi, conforme la parabola del loglio, mescolati con i semi cattivi, che cosa resterà del Regno di Dio? Con questa parabola [del granello di senape], Gesù rimuove ogni timore: la forza del seme è immensa e vincerà tutti gli ostacoli, nonostante sia piccola”.14
Un piccolo grano di mirabile potenza vegetativa
30 Diceva: “A che cosa possiamo paragonare il Regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31 È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno…”

Gesù Si serve di una immagine legata alla terra molto comune in Israele e in tutto l’Oriente. La piccolezza del grano di senape era proverbiale tra i Giudei, non a caso il Divino Maestro lo ha scelto come raffigurazione del Regno di Dio, in modo da rendere ancora più pregnante l’esempio proposto.
Sebbene piccolo, questo seme possiede una mirabile potenza vegetativa. Negli orti della Palestina, come spiega Fillion,15 la senape era frequentemente coltivata, per le sue proprietà medicinali e il Talmud descrive le sue piante, veri e propri alberi capaci di raggiungere, a volte, tre metri di altezza e di sopportare il peso di un uomo, senza rischio che si spezzassero i rami.
Il simbolismo del granello di senape è interpretato in diversi modi dai commentatori. Secondo il Cardinal Gomá, esso “simbolizza Gesù, che il Padre ha inviato al campo di questo mondo nella figura di un servo, ‘rifiuto degli uomini, disprezzato dalla gente’ (Sal 21, 7)”.16 Nello stesso senso si pronuncia San Pietro Crisologo: “Cristo è il Regno dei Cieli che, come granello di senape piantato nel giardino di un corpo virginale, Si è propagato per tutto l’orbe nell’albero della Croce, e fu veramente grande il sapore del suo frutto che si consumò con la Passione, affinché ogni vivente lo degusti e con esso si alimenti”.17
Sant’Ambrogio aggiunge: “Lo stesso Signore è un granello di senape. Egli era lungi da ogni tipo di colpa, tuttavia, come nell’esempio del granello di senape, il popolo, per il fatto di non conoscerLo, non ha avuto contatto con Lui. E ha preferito esser triturato, in modo da poter dire: ‘Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo’ (II Cor 2, 15)”.18
Triturato, il grano espande la sua forza
32a “…ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto…”
Il granello di senape è anche simbolo della predicazione evangelica e della Chiesa, iniziata da Gesù Cristo, continuata dai discepoli nella Giudea e poi nel mondo intero.