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II Domenica di Pasqua – Anno – B.


L’incredulità di San Tommaso

Vangelo


19 La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!” 20 Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21 Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato Me, anch’Io mando voi”. 22 Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; 23 a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”. 24 Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25 Gli dissero allora gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!” Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”. 26 Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!” 27 Poi disse a Tommaso: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente”. 28 Rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!” 29 Gesù gli disse: “Perché Mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!” 30 Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. 31 Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome (Gv 20, 19-31).


La beatitudine di credere nella testimonianza della Chiesa


San Tommaso non ha creduto a San Pietro e agli altri Apostoli quando gli hanno annunciato la Resurrezione del Signore. Noi siamo invitati ad acquisire la beatitudine, credendo in quello che la Chiesa ci insegna.


I – La prima apparizione di Gesù al Collegio Apostolico


Nostro Signore Gesù Cristo, se avesse voluto, avrebbe potuto ascendere al Cielo immediatamente dopo la Resurrezione. Invece, tale è il suo impegno nel salvarci che ha voluto rimanere ancora quaranta giorni sulla Terra, manifestando-Si in varie occasioni a numerosi testimoni, per mettere in chiaro la sua vittoria sulla morte e dimostrare che Lui è la garanzia della nostra resurrezione. Infatti, tutti noi abbandoneremo questa vita – alcuni prima, altri dopo –, ma la Fede ci dà la certezza che, se moriremo nella grazia di Dio, un giorno ci riuniremo nella Valle di Giosafat (cfr. Gl 4, 2), alla destra del Giudice Supremo e, avendo ripreso i nostri corpi in stato glorioso, saliremo “per andare incontro al Signore nell’aria” (I Ts 4, 17), per abitare con Lui nel Paradiso Celeste. La promessa di questa realtà futura è presente in modo speciale nel Vangelo proposto dalla Chiesa per questa domenica di chiusura dell’Ottava di Pasqua.


Un fattore provvidenziale: la paura


19a La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre

erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per

timore dei Giudei, venne Gesù,…


Il Vangelo si apre con un episodio capitato proprio nel giorno della Resurrezione. Fin dall’alba si erano succedute le notizie sulle apparizioni del Signore, sebbene gli Apostoli non gli avessero dato credito, San Pietro e San Giovanni avevano constatato che il sepolcro era vuoto (cfr. Gv 20, 3-8). Sul far della sera, erano ancora riuniti nel Cenacolo. Temendo che i giudei andassero a cercarli e li portassero in prigione, chiusero bene tutte le porte del luogo. Ciò nonostante, mentre conversavano – forse a bassa voce, per paura delle minacce che aleggiavano su di loro –, all’improvviso, “venne Gesù”.


Ora, tutto quello che si relaziona con Nostro Signore ha un profondo significato. In questo caso, la paura che si è impossessata degli Apostoli è stata utile, e perfino provvidenziale, per offrire loro una prova irrefutabile della Resurrezione di Gesù in corpo glorioso, poiché se la casa fosse stata aperta essi avrebbero immaginato che il Maestro fosse entrato per le vie normali. Infatti, l’atto di superare barriere fisiche deriva da una delle proprietà dei corpi gloriosi, la sottigliezza, con la quale i Beati sono capaci di attraversare altri corpi ogni volta che lo vogliano.1


Questo si spiega perché il corpo è lo specchio dell’anima o, in termini più esatti, l’anima è la forma del corpo.2 Un liquido, quando viene versato in un recipiente, prende la forma di questo. Erroneamente, si ritiene che l’anima sia una specie di fluido contenuto in una “coppa” chiamata corpo, quando in realtà è il contrario: il corpo assume il ruolo di liquido dentro la “coppa”, che è l’anima. Così come il vino conservato in una magnifica botte di rovere acquista alcune delle sue qualità, anche il corpo stando nell’anima riceve le caratteristiche di questa. Per tale ragione, se l’anima contempla Dio faccia a faccia, unendosi nuovamente al corpo gli comunica la sua gloria, e il corpo diventa spirituale (cfr. I Cor 15, 42- 44), ossia, passa a godere dei privilegi dello spirito.3


Non è difficile, dunque, capire perché ci fu tra gli Apostoli un clima di spavento, timore e, allo stesso tempo, sorpresa, quando Nostro Signore penetrò nel Cenacolo, al punto che San Luca afferma che essi hanno pensato di vedere un fantasma (cfr. Lc 24, 37). Ma Gesù li tranquillizzerà.


Per convivere con Gesù è necessario stare in pace


19b …si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”


In Nostro Signore tutto è ponderato, considerato e misurato. Non dobbiamo, pertanto, comprendere tali parole come fossero un semplice saluto. Qual è il loro significato più trascendente? Gli Apostoli, in quanto creature concepite nel peccato originale, avevano cattive inclinazioni, tentazioni e problemi, ed è molto probabile che non godessero in quel momento della pace dell’animo propria di coloro la cui coscienza è in ordine, libera da scrupoli o turbamenti. Senza dubbio, il demonio li agitava, specialmente a proposito dell’entrata di Gesù, incutendo timore e inquietudine sulla loro situazione spirituale. Infatti, chi può avere la certezza assoluta di essere in stato di grazia? Nessuno! E affinché approfittassero al massimo di quel rapporto, il Divino Maestro ha compiuto una specie di esorcismo nell’augurare loro la pace, introducendo l’equilibrio nell’anima di ognuno e rasserenando le passioni.


Questo passo porta un ammonimento, un consiglio e un invito per noi: ogni volta che cerchiamo la compagnia di Gesù – nel Santissimo Sacramento, in una cerimonia liturgica, in una qualsiasi circostanza in cui eleviamo la nostra anima a Lui – dobbiamo essere in pace, poiché solo così trarremo interamente beneficio dalla sua presenza. In altre parole, abbiamo bisogno di acquietare le passioni, eliminare gli attaccamenti e le ansie per le cose concrete e porci in atteggiamento contemplativo. Questa è una delle grandi lezioni della Resurrezione, come indica San Leone Magno: “Non lasciamoci dominare dalle cose temporali, che non sono altro che apparenza, e che i beni terreni non sviino la nostra contemplazione dei Celesti. Consideriamo come oltrepassato ciò che già quasi non esiste, e che il nostro spirito, preso a quello che deve permanere, fissi il suo desiderio laddove ciò che gli si offre è eterno”.4


Gli Apostoli confermano la Resurrezione


20 Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli

gioirono al vedere il Signore.


Alle prime impressioni suscitate dall’apparizione di Cristo subito succedette un affettuoso dialogo con gli Apostoli, che poterono vederLo da vicino e anche toccarLo, come si deduce dal testo di San Luca, che registra le parole del Divino Risorto: “ToccateMi e guardaTe; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che Io ho” (Lc 24, 39). In questo modo, Egli li ha costituiti testimoni della sua Resurrezione. E, affinché questo fosse completamente fededegno, fece loro vedere le mani con i segni dei chiodi e scostò un poco la tunica per mostrare il costato trafitto. Ecco a che estremi il Divino Redentore arriva per amore ai suoi!


Si comprende che San Giovanni faccia intendere quanto i discepoli si siano rallegrati per questo. Si erano dissipate tutte le inquietudini, grazie alla pace infusa da Gesù, senza la quale non avrebbero goduto dell’immenso dono che Lui offriva loro manifestandoSi. Vediamo ancora accentuata la necessità di non abbandonare mai lo spirito contemplativo – che ci troviamo in mezzo alle attività, che stiamo affrontando un dramma, che ci troviamo in occasioni di giubilo –, come pure osserviamo l’importanza di vigilare sempre in modo da impedire che le nostre cattive inclinazioni ci dominino, rubandoci la pace. Nel timore, nel dolore o nella confusione, nell’euforia, nell’entusiasmo o nella consolazione, non dobbiamo mai perdere la pace! In questo consiste lo stato di santità.


Apparizione di Nostro Signore risorto nel Cenacolo

La missione di Gesù continua nella Chiesa


21 Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha

mandato Me, anch’Io mando voi”.


Ancora una volta, il Signore Gesù raccomanda la pace, e poi pronuncia queste parole semplici e sintetiche, ma profonde, dando un carattere di ufficialità alla missione apostolica. Con che obiettivo il Padre ha inviato Gesù nel mondo? Per salvare gli uomini, rivelando, insegnando, perdonando e santificando, ed è questa la missione che il Redentore trasferisce agli Apostoli riuniti in plenario, già nel primo incontro successivo alla sua Resurrezione. Tale è la funzione della Chiesa, in modo particolare di coloro che sono chiamati al ministero sacerdotale, ma anche di ogni apostolo: per quanto sia loro possibile, hanno l’obbligo di istruire nelle verità della Fede e incamminare al perdono, promuovendo la santificazione delle anime con l’esempio e con la parola.


Il Sacramento della Riconciliazione


22 Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo

Spirito Santo; 23 a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi

non li rimetterete, resteranno non rimessi”.


A seguire Gesù soffiò su di loro – ed è da ritenere che per questo abbia riempito vigorosamente i suoi divini polmoni. Egli ha voluto simbolizzare con un atto umano quello che ha espresso con le parole “ricevete lo Spirito Santo”, affinché, stimolati nella sensibilità, comprendessero meglio quello che accadeva in quel momento: una vera effusione del Paraclito, sebbene ancora non in pienezza e con la solennità che si sarebbe verificata più tardi, nella Pentecoste, poiché soltanto allora sarebbero stati infusi loro tutti i suoi doni. Il Figlio di Dio conferiva il potere di perdonare i peccati, lasciando a loro carico “il principato del supremo giudizio, affinché, facendo le veci di Dio, agli uni mantenessero i peccati e li perdonassero agli altri”.5 Infatti, senza l’assistenza dello Spirito Santo non è possibile esercitare una missione così elevata, poiché il confessore deve trattare ogni anima proprio come lo farebbe Gesù, sapendo discernere le disposizioni del penitente, dargli il consiglio adeguato e stimolarlo al sincero pentimento delle sue colpe.


Un’azione divina per intendere la Resurrezione


San Giovanni conclude qui il racconto di questa prima apparizione. Come narra San Luca, in questa circostanza Nostro Signore ha agito sull’intelligenza degli Apostoli con un intervento diretto del suo potere divino, aprendo loro “lo spirito, affinché comprendessero le Scritture” (Lc 24, 45). Senza tale azione, essi non avrebbero capito nulla riguardo la sua Passione e Resurrezione, poiché, formati secondo la mentalità giudaica dell’epoca, avevano una serie di concetti fissi in funzione di un Messia adattato ai loro interessi personali, che non si identificava con Cristo. Questi – il Messia reale – era infinitamente superiore all’immagine di quell’eroe politico e dotato di prestigio sociale che il popolo eletto aveva concepito, nel corso dei tempi, come il Salvatore di Israele.


Gli Apostoli rimasero ammiratissimi per quello che videro e confermarono la Resurrezione – il Signore anche “mangiò davanti a loro” (Lc 24, 43) –, ma la loro fede non aveva ancora raggiunto la pienezza del fervore, entusiasmo e incanto che avrebbe raggiunto con la discesa dello Spirito Santo, dopo l’Ascensione di Gesù.


II – “Non essere incredulo, ma credente”


Nostro Signore lasciò passare una settimana per apparire loro di nuovo, poiché volle che le impressioni di quel primo incontro si sedimentassero nelle loro anime. In questo intervallo, però, Dio fece uso di una curiosa didattica per fissarli nella missione di testimoni della Resurrezione, di fronte a un dubbio sorto nello stesso Collegio Apostolico.


La durezza di Tommaso: pretesto per l’azione di Dio


24 Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con

loro quando venne Gesù. 25 Gli dissero allora gli altri discepoli:

“Abbiamo visto il Signore!” Ma egli disse loro: “Se non vedo

nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei

chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”.


San Tommaso

Tommaso, assente dal Cenacolo quando Gesù era stato lì insieme ai discepoli, non si era beneficiato della compagnia del Signore e, sentendo la notizia, fu recalcitrante nel credere, dichiarando che si sarebbe convinto solo se avesse confermato lui stesso la Resurrezione. Ora, nulla accade per caso. Il fatto che il tumulo sia stato abbattuto in maniera strepitosa in presenza delle guardie, il racconto delle Sante Donne e dei discepoli di Emmaus, attestanti che il Maestro era vivo ed era apparso loro, nulla di questo era stato sufficiente per persuadere quegli uomini eletti da Dio a essere i fondamenti della Chiesa. Era necessario che essi vedessero e toccassero con le proprie mani il Risorto, e sostenessero ancora una settimana di discussione con un fratello di vocazione. San Tommaso era la persona ideale per questo, infatti, come si può inferire dalla narrazione, possedeva un carattere ostinato, afferrato alle sue idee, che nessuno mutava; era uno spirito positivo, quasi cartesiano.


Dio permise questo anche perché gli altri Apostoli, già lavorati da Nostro Signore, si scontrassero con un atteggiamento così incredulo, e fosse chiara per loro la differenza tra chi aveva udito due volte “La pace sia con voi” e chi non era stato oggetto di questo favore. Tommaso veniva con l’agitazione dell’attività, con le afflizioni di chi è estraneo alla contemplazione e, di conseguenza, era indebolito nella fede.


Gesù appare per la seconda volta


26 Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con

loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in

mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”


È interessante notare che Gesù abbia scelto lo stesso giorno della settimana in cui era avvenuta la Resurrezione per manifestarSi nuovamente. In accordo con i costumi giudaici che osservavano il riposo sabbatico, corrispondeva al nostro attuale lunedì. Per il fatto che Nostro Signore è risorto nel primo giorno, questo sostituì il sabato, diventando il giorno di commemorazione dei cristiani con la celebrazione dell’Eucaristia, la domenica, ossia, “giorno del Signore” – dies Dominica, come troviamo menzionato già nell’Apocalisse (cfr. Ap 1, 10), da San Giovanni.


Malgrado tutte le grazie ricevute nell’occasione precedente, gli Apostoli si spaventarono ancora una volta. Ed è comprensibile, poiché, se l’apparizione di un Angelo incute timore, come non lo potrebbe causare quella di un Dio fatto Uomo, che ostenta nel suo Corpo segni di gloria? Per questo Nostro Signore augurò loro un’altra volta la pace. Pace soprannaturale che Egli stesso comunica all’anima di ognuno.


È nella pace che le virtù si sviluppano


27 Poi disse a Tommaso: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie

mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere

più incredulo ma credente”. 28 Rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”


Come aveva fatto con gli altri, Gesù presentò le mani a Tommaso e scostò la tunica, in modo da mostrare la piaga del costato, affinché l’Apostolo incredulo diventasse anche lui testimone della Resurrezione. O felix culpa! Toccando le sante piaghe, San Tommaso ci ha dato la prova che era realmente il Corpo del Divino Maestro, che guarisce “in noi le piaghe della nostra incredulità. In questo modo l’incredulità di Tommaso è stata più proficua per la nostra fede che la fede dei discepoli che hanno creduto, perché, decidendo quel toccare per credere, la nostra anima si afferma nella fede, togliendo ogni dubbio”.6 E in quel momento il Signore Gesù, Creatore della grazia e in cui stanno tutte le grazie, ha agito nella sua intelligenza, infondendogli una fede straordinaria che lo ha portato a riconoscere la sua divinità. Egli ha avuto un’esperienza mistica del fatto che lì stava la Seconda Persona della Santissima Trinità, la natura divina unita alla natura umana, e dalle sue labbra è scaturita un’esclamazione che era il massimo che lui avrebbe potuto dire, un vero atto di adorazione: “Mio Signore e mio Dio!”. Gli è bastato toccare l’Uomo-Dio per raggiungere la fedeltà che gli mancava!


C’è in questo passo anche un altro aspetto che merita la nostra attenzione: tutto questo è accaduto dopo che San Tommaso ha ricevuto la pace di Nostro Signore. Al contrario, anche se egli avesse posto la mano nella piaga a nulla questo gli sarebbe valso, perché è nella pace che la fede, la speranza, la carità – insomma, tutte le virtù – si sviluppano.


Il principale errore di San Tommaso


29 Gesù gli disse: “Perché Mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”


San Tommaso riconosce la divinità di Nostro Signore

Questo versetto mette in risalto il contrasto tra il carattere divino della Chiesa e il suo elemento umano. Quest’ultimo è incredulo e, in fondo, infedele, poiché è costituito da persone concepite nel peccato originale e che, pertanto, hanno debolezze. Ma, in quanto istituzione eretta da Cristo per santificare e salvare, essa è impeccabile, e nessuna imperfezione umana raggiunge la sua divinità.


È questo il principale errore di San Tommaso. Egli non ha creduto alla testimonianza di San Pietro e degli altri Apostoli, che avevano visto e toccato, come se avesse detto: “Non accetto quello che il Papa afferma né quello che tutti i Vescovi affermano con lui; credo solo in quello che constato”. Per aver reagito così, a San Tommaso non è spettato il merito di quelli che ascoltano la parola della Chiesa. Dunque, nel dichiarare beati quelli che credono senza aver visto, Nostro Signore sottolinea la nostra dipendenza rispetto all’infallibilità pontificia e la necessità di accogliere la Tradizione della Chiesa trasmessa attraverso i legittimi successori degli Apostoli.


La testimonianza di San Giovanni


30 Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma

non sono stati scritti in questo libro. 31 Questi sono stati scritti,

perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché,

credendo, abbiate la vita nel suo nome.


San Giovanni ha scritto il suo Vangelo, che è l’ultimo, alla fine del primo secolo, molti anni dopo la conclusione degli altri tre. Si direbbe che non fosse necessario redigerlo, perché la storia di Gesù era già stata raccontata nei sinottici. Invece, il Discepolo Amato curava le comunità cristiane dell’Asia Minore, nate sotto l’influsso dell’apostolato di San Paolo, e compose il quarto Vangelo con l’obiettivo di proteggere i fedeli dalle eresie che cominciavano a proliferare in quell’epoca, creando confusione riguardo a Gesù Cristo. Soprattutto, mirava a combattere la dottrina gnostica, che negava l’Incarnazione del Verbo, come pure l’unione ipostatica, e considerava soltanto l’umanità di Cristo.7 San Giovanni ha voluto correggere questa visione umana – che tante volte si è ripetuta nel corso della Storia –, lasciando consegnata una vera esposizione dottrinale sulla divinità di Gesù. Sarebbe impossibile narrare tutto quello che il Divino Maestro ha fatto, poiché la Sua vita è stata un segnale permanente. Per questa ragione, l’Evangelista ha selezionato gli episodi più adeguati allo scopo che aveva, tra cui i due incontri di Gesù con i discepoli, menzionati in questo Vangelo. Infatti, essi ci portano a concludere facilmente che il Signore Gesù è il Figlio di Dio Vivo e che in Lui dobbiamo vedere più il lato divino che quello umano.


III – Siamo chiamati alla beatitudine!


In funzione di San Tommaso, il Salvatore ha dichiarato che tutti quelli che Lo avessero seguito, a partire dalla sua Ascensione al Cielo, avrebbero avuto bisogno di credere nel la parola di quelli che Egli scelse come suoi testimoni. E da più o meno duemila anni la Chiesa vive di questa fede. È quello che vediamo nella scena descritta nella prima lettura (At 2, 42-47), tratta dagli Atti degli Apostoli. La comunità dei fedeli nasce piccola, ma dà origine a tutte le altre comunità, perché “erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere” (At 2, 42). La Chiesa germina fondata su questa fede, che costituisce un prezioso elemento per muovere le anime alla conversione e che deve esistere tra noi. Se sarà così, l’apostolato si farà da sé, e saremo meri strumenti per l’operato dello Spirito Santo.


Teniamo sempre presente che, se non ci è toccata la grazia di convivere con Nostro Signore, né di vedere e toccare le sue divine piaghe, ci è stata riservata, secondo l’affermazione del Divino Maestro, una beatitudine maggiore della loro: credere nella Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana. Ben si potrebbero applicare a noi le parole di San Pietro nella seconda lettura (I Pt 1, 3-9) di questa domenica: “voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la mèta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime” (I Pt 1, 8-9).


Basilica di San Pietro – Vaticano

1) Cfr. GARRIGOU-LAGRANGE, OP, Réginald. L’éternelle vie et la

profondeur de l’âme. Parigi: Desclée de Brouwer, 1953, p.333.


2) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. I, q.76, a.1.


3) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma contro i gentili. L.IV,

c.86, n.5.


4) SAN LEONE MAGNO. De Resurrectione Domini. Sermo I, hom.58

[LXXI], n.5. In: Sermons. Parigi: Du Cerf, 1961, v.III, p.126.


5) SAN GREGORIO MAGNO. Homiliæ in Evangelia. L.II, hom.6 [XXVI],

n.4. In:Obras. Madrid: BAC, 1958, p.663.


6) SAN GREGORIO MAGNO, op. cit., n.7, p.665.


7) Cfr. LA POTTERIE, SJ, Ignace de. La verdad de Jesús.

Madrid: BAC, 1979, p.283; JAUBERT, Annie. El Evangelio según

San Juan. Estella: Verbo Divino, 1987, p.8.


Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” di Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.

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