Vangelo
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 33 “Ascoltate un’altra parabola: C’era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l’affidò a dei vignaioli e se ne andò. 34 Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. 35 Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l’altro lo uccisero, l’altro lo lapidarono. 36 Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. 37 Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: ‘Avranno rispetto di mio figlio!’ 38 Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: ‘Costui è l’erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l’eredità’. 39 E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l’uccisero. 40 Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?” 41 Gli rispondono: “Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo”. 42 E Gesù disse loro: “Non avete mai letto nelle Scritture: ‘La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri?’ 43 Perciò Io vi dico: vi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare” (Mt 21, 33-43).
La grave responsabilità di chi si prende cura della vigna del Signore
Come in altri tempi verso il popolo eletto, Dio ci tratta come una vigna scelta affinché più facilmente otteniamo la beatitudine eterna. Che frutti daremo al suo Padrone?
I – La vigna, simbolo di realtà soprannaturali
Ai giorni nostri, poiché viviamo in una civiltà eccessivamente industrializzata, non tutti abbiamo familiarità con il processo di produzione del vino, ed è possibile che per molti l’immagine della vigna non abbia un particolare significato. Oggi compriamo questa bevanda già imbottigliata, forse senza conoscere i vari dettagli del lungo processo iniziato con l’uva. È un compito che esige sforzo, dedizione e conoscenza dei segreti della coltivazione di ogni tipo di vite, del miglior modo di prendersene cura e dell’epoca giusta per la vendemmia, secondo la qualità del vino che si desidera ottenere. È necessario portare le uve in un torchio, spremerle – il metodo tradizionale consiste nel pestarle –, lasciar riposare il mosto fino alla fermentazione e decantarlo per essere poi, eventualmente, depositato in barili, in certi casi per anni e, infine, esser imbottigliato. Si tratta di un’arte che si acquisisce solo dopo una lunga esperienza, accumulata nel corso di generazioni in cui la tradizione familiare va perfezionando le tecniche: è il métier dei viticoltori. Così, essi finiscono per creare un’enorme considerazione per i loro vigneti.
Ora, Dio ideò e creò l’uva, spingendo l’uomo a coltivarla, affinché rappresentasse la realtà – quanto più elevata! – della sua relazione con il popolo eletto, come vedremo nelle letture della 27ª Domenica del Tempo Ordinario.
Israele, vigna scelta del Signore
La coltivazione della vite si era estesa ampiamente nella Terra Promessa e in altre regioni del mondo antico, fin da epoche remote. Anche se l’orto della casa era molto piccolo, non mancava il posto per una vite; e anche se i suoi grappoli producevano un solo orcio di vino, questo bastava per fare la gioia della famiglia, soprattutto perché era stato preparato dai suoi stessi membri. Tuttavia, per avere una vigna considerevole, era necessario avere una buona terra, vigilarla e difenderla contro ladri e animali. Con quest’obiettivo si aveva l’abitudine di edificare in essa un posto di guardia, oltre che di circondarla con un recinto – come ancora si fa in diversi luoghi – costruito con le pietre tolte dal terreno, in modo da costituire una piccola muraglia.
“La vigna del Signore è la casa d’Israele” (Is 5, 7a), dice il ritornello del Salmo Responsoriale, che continua in modo eloquente: “Hai sradicato una vite dall’Egitto, hai scacciato le genti e l’hai trapiantata. Ha esteso i suoi tralci fino al mare, arrivavano al fiume i suoi germogli” (Sal 79). È quello che di fatto accadde, poiché Egli trasse gli israeliti dalla schiavitù ed espulse i popoli che abitavano Canaan per istallare lì la sua vigna, consegnando loro quella terra dal Mar Mediterraneo fino ai suoi lontani confini. Israele, separato da tutte le nazioni al fine di essere il popolo prediletto, colmato di privilegi e di doni, più tardi sarebbe stato chiamato a convertire gli altri. Dio firmò con esso un’alleanza e promise di proteggerlo, se avesse osservato la Legge, praticato il culto e non si fosse consegnato all’idolatria. Infine, come ricorda la prima lettura (Is 5, 1-7), tratta dal Libro del Profeta Isaia, era una vigna accuratamente scelta e accudita dal Signore.
A causa dei suoi frutti cattivi, Dio abbandona la vigna
Tuttavia, tramite le labbra del profeta, Egli lamenta che la vite non abbia dato i frutti desiderati: “Egli aspettò che producesse uva, ma essa fece uva selvatica” (Is 5, 2). Questa non serve per produrre vino e neppure come alimento, poiché è acerba. Quando è consumata, lascia il palato aspro, i denti allappati e la lingua con un’acidità e un sapore aspro da far perdere il gusto. Isaia compone questo poema in mezzo alle feste d’inizio autunno, periodo della vendemmia, nell’esatto contesto storico in cui l’Assiria minacciava di invadere Israele, che in poco tempo sarebbe stato deportato in altre regioni.1 È allora che Dio recupera dagli ebrei tutti i benefici di cui erano stati oggetto, dicendo: “Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che Io non abbia fatto? […] Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti è la casa di Israele; gli abitanti di Giuda la sua piantagione preferita. Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi” (Is 5, 4.7).
Quando abbiamo un essere caro sul quale versiamo fiumi di benevolenza, anche se lo facciamo con disinteresse, senza mirare alla reciprocità, l’istinto di socievolezza chiede in un certo modo una restituzione. E, di conseguenza, non c’è nulla di più duro che essere ricompensati con il male. È una delle prove più terribili e dolorose che esistano!
Dio ha amato i suoi eletti in un modo straordinario e voleva veder fiorire la santità tra loro, invece Gli hanno dato soltanto gli amari frutti del peccato. E così come i grani di sale si dissolvono a mano a mano che sono aggiunti in un recipiente d’acqua, fino a un punto esatto di saturazione in cui si cristallizza nel fondo, o come un padre ha pazienza col figlio deviato fino al punto che questi oltrepassa i limiti e provoca la sua collera, anche Dio decide, a un certo momento, di castigare il popolo ribelle.
A questa punizione allude il Salmo Responsoriale: “Perché hai aperto brecce nella sua cinta e ne fa vendemmia ogni passante? La devasta il cinghiale del bosco e vi pascolano le bestie della campagna” (Sal 80, 13-14). Era quello che accadeva agli ebrei nel corso dei secoli: quando l’ingratitudine raggiungeva un culmine, Dio lasciava cadere il recinto e gli animali invadevano e devastavano la vigna, ossia, Israele era dominato dai pagani che lo circondavano, e disgrazie innumerevoli gli erano inflitte affinché sentisse che con le sue sole forze non era nulla, e si sviluppava solo grazie a un dono divino. E, conclude il salmista, chiedendo aiuto: “Dio degli eserciti, ritorna! Guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna, proteggi quello che la tua destra ha piantato, il Figlio dell’Uomo che per te hai reso forte. Da te mai più ci allontaneremo, facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome. Signore, Dio degli eserciti, fa’ che ritorniamo, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi” (Sal 80, 1516.19-20).
Entrambi i testi dell’Antico Testamento sono complemento al Vangelo, il quale è molto più profondo e ricco di significato.
II – La Vigna, il suo Padrone e i vignaioli omicidi
Il passo presentato in questa 27ª Domenica del Tempo Ordinario fa parte della predicazione di Nostro Signore negli ultimi giorni della sua vita mortale, il martedì della Settimana Santa. Dopo l’entrata trionfale a Gerusalemme, la Domenica delle Palme, la lotta contro quelli che tramavano il deicidio diventò più acuta, a cominciare dall’espulsione dei venditori del Tempio, proseguendo con una serie di affronti pubblici, nei quali risplendette la divinità di Cristo. San Matteo si distingue dagli altri evangelisti per la precisione con cui registra tutta la contesa, che culminerà nel capitolo 23.
Il Divino Maestro parla ai capi di Israele
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 33a “Ascoltate un’altra parabola: C’era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre,…”
In questa parabola Gesù Si rivolge alle alte autorità di Israele: i sommi sacerdoti e anziani del popolo, crema della società di quel tempo e responsabili per guidarlo. Tutti erano uomini di lettere, profondi conoscitori della Scrittura e, senza dubbio, quando il Maestro inizia la narrazione, essi avevano presente la profezia e il Salmo che contempliamo oggi, e molti altri testi sacri, nei quali Israele è comparato a una vigna (cfr. Ger 2, 21; Ez 15, 1-6; 19, 10-14; Os 10, 1; Ct 2, 15; ecc.).
Secondo la descrizione di Nostro Signore – in armonia con i suddetti passi dell’Antico Testamento –, possiamo immaginare il protagonista di questa parabola come un uomo di grande capacità di lavoro e molte ricchezze, che spese cure estreme per coltivare la sua vigna con la più grande perfezione. La pose “sopra un fertile colle” (Is 5, 1) illuminata dal Sole, dove c’è ventilazione e l’acqua scorre, lasciando la terra drenata, cosa che favorisce la produzione dell’uva. Questo significa che Dio diede al popolo eletto una natura privilegiata e condizioni propizie per ricevere ciò che c’è di più prezioso: la vita soprannaturale. Pulì convenientemente il terreno e lo recintò (cfr. Is 5, 2a), ossia, rimosse dall’anima degli israeliti certe miserie che pregiudicavano lo sviluppo della grazia e li protesse per impedire che altri facessero loro qualche male. Piantò ancora “viti scelte” (Is 5, 2b), volle riempirli di doni straordinari, avendo in vista che nel seno di questa nazione era in via di preparazione l’ascendenza di Colui che sarebbe stato suo Figlio Unigenito Incarnato e di sua Madre, Maria Santissima. Come dice San Giovanni Crisostomo, “Egli nulla omise per quel che riguarda la sollecitudine per loro”.2
I fittavoli della vigna: nuovo e principale aspetto della parabola
33b “…poi l’affidò a dei vignaioli e se ne andò”.
In quel tempo, in Palestina, non era raro l’affitto di terreni da piantagione. I fittavoli dividevano il guadagno con il padrone, pagando quello che a lui corrispondeva conforme al contratto. Non dimentichiamoci che lo sforzo per preparare la vigna era stato del secondo, il quale aveva comprato la terra e montato tutta l’infrastruttura necessaria per trarne profitto.
Il presente versetto ci offre la peculiarità di questa parabola, considerando gli altri testi dell’Antico Testamento che trattano della vigna, poiché non si concentra nella relazione di questa con il proprietario, ma tra lui e gli agricoltori messi a contratto. La vigna è Israele, il padrone è Dio. Egli incarica alcuni di coltivarla, e parte per lontano, “per lasciare i vignaioli lavorare secondo il loro libero arbitrio”.3 Ecco la realtà pungente e chiara: Dio non sembra abitare insieme ai suoi prescelti né convive con loro in forma visibile, ma pone alla loro testa uomini notevoli chiamati a governarli, autorità religiose incaricate di guidarli sulla via della salvezza. E “come il colono, anche quando compie il suo dovere, non piacerà al suo padrone se non gli consegnerà la rendita della vigna, così anche il sacerdote non piace tanto al Signore per la sua santità, quanto perché insegna al popolo di Dio la pratica della virtù”.4 In questo modo, dal contesto della parabola, il Divino Maestro evidenzia la classe alla quale era destinata.
Riassunto della storica infedeltà dei dirigenti del popolo
34 “Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. 35 Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l’altro lo uccisero, l’altro lo lapidarono. 36 Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo”.
I servi, mandati dal signore della vigna a ricevere i frutti, simbolizzano i profeti inviati da Dio lungo tutta la storia di Israele per riscuotere i profitti da coloro che avrebbero dovuto reggere la nazione, secondo le sue disposizioni. Nonostante ciò, questi emissari furono perseguitati e uccisi – come lo stesso Gesù denunciò (cfr. Mt 23, 30-31.37; Lc 11, 47-51) –, perché la loro predicazione contrariava le cattive inclinazioni regnanti e, soprattutto, gli interessi dei dirigenti della società. La loro presenza diventava un ingombro che era necessario eliminare. San Girolamo riassume questo riprovevole atteggiamento: “Ci percossero come successe a Geremia (Ger 37, 15), ci uccisero come fecero con Isaia (Eb 11, 37), ci lapidarono come lapidarono Nabot (I Re 21, 15) e Zaccaria, che ammazzarono tra il Tempio e l’altare (II Cr 24, 21)”.5 È la furia del peccatore contro coloro che vengono a ricordargli che la proprietà del popolo eletto appartiene a Dio; furia contro coloro che rappresentano la Legge e il diritto; furia contro quelli che esigono il compimento della volontà del Signore. “Perché questo terreno non è nostro?”, si lamentano. È, in fondo, una mancanza di conformità con l’autorità di Dio.
Gesù profetizza il deicidio
37 “Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: ‘Avranno rispetto di mio figlio!’ 38 Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: ‘Costui è l’erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l’eredità’. 39 E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l’uccisero”.
Infine, in un atto estremo di amore, Dio non manda un altro profeta, ma il suo amato Figlio per invitare gli israeliti a essere fedeli all’Alleanza. Tuttavia, essi Lo uccidono. La parabola in questo passo non potrebbe essere più esplicita: trovandoSi prossimo alla Passione, non a caso il Divino Maestro ha voluto lasciar ben chiara la verità e fare una profezia su Se stesso. Era l’occasione di manifestare che il Signore aveva dato al suo popolo ogni sorta di doni, regalie e protezione, lo aveva protetto in innumerevoli modi. Però, a un determinato momento, vedendo che non si prendeva cura della vigna e utilizzava tutti i benefici per il proprio interesse, e anche contro di Lui, affida a suo Figlio la missione di convertirlo. Tuttavia, il delirio di prender possesso dell’eredità del padrone, la bramosia dei beni altrui, il desiderio di appropriazione e l’odio verso la superiorità portano i vignaioli – i capi della nazione – ad attentare contro la vita di Nostro Signore.
40 “Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?” 41 Gli rispondono: “Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo”.
I presenti, abituati al costume orientale di considerare l’interpretazione delle parabole come segno d’intelligenza e cultura, erano preoccupati di decifrare con sicurezza le parole del Divino Maestro, che, intuivano, li riguardava. Per questo, senza pensarci molto, diedero una rapida soluzione. Non compresero che “il Signore chiede loro non perché ignori quello che risponderanno, ma perché si condannino con la loro stessa risposta”.6 Il verdetto dei sommi sacerdoti e degli anziani del popolo era in verità un’accusa, come mettono in luce le successive parole di Nostro Signore. Come commenta San Giovanni Crisostomo, “essi pronunciarono una sentenza contro se stessi […]. E, giustamente, se [Gesù] propose loro una parabola, fu perché voleva che essi pronunciassero la loro sentenza. È quanto accadde a Davide, quando egli stesso sentenziò nella parabola del profeta Natan”.7
Il Padre esalterà il Figlio assassinato
42 E Gesù disse loro: “Non avete mai letto nelle Scritture: ‘La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri?’ 43 Perciò Io vi dico: vi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare”.
Nella costruzione delle case del tempo c’erano pietre poste negli angoli per fissare e mantenere le altre, conferendo stabilità all’edificio. A questo fine erano usate quelle di maggiori dimensioni, poiché avevano la funzione di sostenere la costruzione e, per le loro caratteristiche peculiari, a volte non erano adeguate nelle precedenti tappe dell’opera. Questo capitava, soprattutto, nel caso delle pietre che concludevano le cupole. Usando questa immagine come simbolo di Se stesso, il Redentore mostra che il Figlio, che essi rifiutarono e avrebbero ammazzato, Dio Lo pone nel piano più alto. E, applicando la parabola direttamente ai suoi interlocutori, li ammonisce che, non avendo dato i frutti dovuti, saranno disprezzati, messi da parte e privati dei loro privilegi, che saranno trasferiti ad altri popoli.
La parabola è bellissima e talmente chiara – al contrario di altre, a prima vista misteriose per il pubblico – che neppure gli Apostoli o coloro cui era rivolta chiesero a Gesù la sua spiegazione. Tali destinatari, inoltre, temevano che Lui manifestasse in maniera ancor più categorica la grave accusa che pesava sopra di loro.
Dio castiga gli individui e i popoli
La conclusione di Gesù mette in evidenza come il Signore non solo castighi su un piano individuale quelli che, voltandoGli le spalle, abbracciano le vie della perdizione, ma chiamerà a giudizio anche le nazioni. Così, la parabola contiene una lezione per il nostro tempo, poiché sembra chiaro che Egli può punire l’umanità. Oggi verifichiamo che il relativismo, il materialismo, l’egoismo, la mancanza di virtù e di amore a Dio si sono impossessati del mondo, il quale è pervaso da uno spirito opposto al Suo ed è diventato come la vigna scelta che non ha dato l’uva desiderata. È possibile che questa vite riceva la ricompensa descritta nella prima lettura e nel Vangelo.
Per tale motivo conviene ascoltare, nella seconda lettura (Fil 4, 6-9), l’esortazione di San Paolo ai Filippesi: “In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri” (4, 8). È la purezza d’animo che manca a questo mondo, dove si commettono peccati che trionfano sulla castità, sono adottate mode sempre più impudiche, si assiste alla dissoluzione familiare e alla scomparsa della verginità. Tutto questo attira l’indignazione di Dio e, se non ci sarà un impulso di conversione che sostenga il braccio della collera divina, ignoriamo quello che accadrà alla nostra generazione. Visto che Lui non tollera il peccato, quando interverrà? Non lo sappiamo, ma dobbiamo convincerci personalmente dell’importanza di praticare la virtù, sia in famiglia o nella vita consacrata, con spirito di preghiera, fede e pietà, chiedendo al Signore di avere compassione di noi e di concedere grazie specialissime affinché ci sia un cambiamento nella direzione degli avvenimenti. Solo così “la pace di Dio” (Fil 4, 7) sarà con noi e non la sua ira.
III – Anche noi siamo vigna del Signore
I commenti su questo Vangelo rimarrebbero incompleti se limitassimo la loro applicazione a quelli che pianificarono la morte di Cristo, o anche all’umanità nel suo insieme. Nella parabola dei vignaioli omicidi dobbiamo trovare una lezione per ognuno di noi, poiché le parole di Nostro Signore echeggiano per gli uomini di tutte le epoche storiche. Infatti, la vigna di cui parla la Liturgia può esser considerata l’anima di ogni cattolico, che Dio ama con predilezione, al punto da rivolgergli la domanda: “Cosa avrei potuto fare Io in più per la mia vigna che non ho fatto?”.
Le doti che riceviamo, a partire dall’essere, l’intelligenza, la volontà, la sensibilità, la vocazione specifica, tutto ci è consegnato dal Signore della vigna. Tra questi favori, nessuno è degno di maggior apprezzamento della vita divina, come insegna San Rabano Mauro: “In senso morale, a ognuno si consegna la sua vigna affinché la coltivi, essendogli amministrato il sacramento del Battesimo, affinché lavori per mezzo di lui. Gli è inviato un servo, un altro e un terzo, quando la Legge, il Salmo e la profezia parlano, e in virtù dei cui insegnamenti si deve agire bene. Ma l’inviato è ucciso e gettato fuori, si disprezza la sua predicazione o, cosa peggiore, si bestemmia contro di lui. Uccide l’erede che porta in sé chiunque oltraggia il Figlio di Dio e offende lo Spirito della sua grazia. Una volta perduto il cattivo coltivatore, la vigna è consegnata a un altro, come accade col dono della grazia, che il superbo disprezza e l’umile raccoglie”.8
Dio veglia sempre su di noi e, nel corso degli anni, ci tratta con molto più affetto, vigilanza e amore che qualsiasi vignaiolo per quanto concerne la sua piantagione. Egli prepara via via le circostanze, esaudendo, ponendo difese affinché gli ostacoli non ci facciano cadere. In cambio, che cosa si aspetta da noi? Che siamo una vite che dia il frutto eccellente delle opere di perfezione, da cui esca poi il buon vino della santità. Per questo verrà a riscuotere i frutti. Spetta a noi lavorare per produrli, coscienti che quanto possediamo ha origine in Lui. Persino la forza per praticare la virtù ci è infusa da Dio, come un dono che ci permette di acquisire meriti in vista della nostra eterna salvezza.
Un opportuno esame di coscienza
Come mi prendo cura, allora, di questa vigna che sono io? Me ne occupo con tutta la perfezione e restituisco a Dio quello che Gli appartiene? Sto costantemente con l’attenzione rivolta alle realtà soprannaturali, col desiderio di beneficiare il prossimo, convinto del fatto che sono stato chiamato a dar gloria a Dio e riparare il Sapienziale e Immacolato Cuore di Maria dei numerosi peccati che oggi si commettono? Sono attento all’arrivo dei servi del Padrone della vigna? Una parola detta dal pulpito, un consiglio di uno che cerca la mia santificazione, un ammonimento della coscienza… Più ancora, le suppliche della Madonna e la protezione del mio Angelo Custode. Cosa faccio io a questi servi? Li lapido, li percuoto e li uccido, soffocando la loro voce? Infatti, se non voglio in alcun modo consegnare a Dio ciò che è Suo e uso i suoi doni per il mio piacere personale o, peggio, per offenderLo, sto, in fondo, percuotendo, lapidando, uccidendo i servi, e anche il Figlio del Divino Padrone. È indispensabile che mi premunisca, perché il Regno dei Cieli che ho ricevuto il giorno del mio Battesimo potrà essermi tolto e dato ad altri.
Quanta materia per un esame di coscienza! Come mi trovo ora? Di fronte a queste parole, qual è la mia reazione? Sto schivando, devio l’attenzione o mi pongo di fronte all’obbligo di render conto della vigna che sono io? Se la coscienza mi accusa, devo ricordarmi dell’insegnamento di San Paolo, nella seconda lettura: “Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù” (Fil 4, 6-7). Grazie alla materna intercessione di Maria Santissima tutto ha una soluzione, purché io riconosca che ho proceduto male e ho bisogno di cambiar vita. Chiediamo alla Madonna, allora, misericordia e le forze per emendarci e aderire con entusiasmo alla volontà del Padrone della vigna.
1) Cfr. GALLEGO, Epifanio. El movimiento profético. Isaías. In: GONZÁLEZ, Ángel et al. Comentarios a la Biblia Litúrgica. Antiguo Testamento. 4.ed. Madrid-Barcelona-Estella: Paulinas; PPC; Regina; Verbo Divino, 1990, p.615-616.
2) SAN GIOVANNI CRISOSTOMO. Omelia LXVIII, n.1. In: Obras. Homilías sobre el Evangelio de San Mateo (46-90). 2.ed. Madrid: BAC, 2007, v.II, p.387.
3) SAN GIROLAMO. Commento a Matteo. L.III (16,13-22,40), c.21, n.51. In: Obras Completas. Comentario a Mateo y otros escritos. Madrid: BAC, 2002, v.II, p.299.
4) AUTORE INCERTO. Opus imperfectum in Matthæum. Omelia XL, c.21: MG 56, 854
5) SAN GIROLAMO, op. cit., p.299.
6) Idem, p.301.
7) SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, op. cit., n.2, p.390-391.
8) SAN RABANO MAURO. Commentariorum in Matthæum. L.VI, c.21: ML 107, 1053
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