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XXIV Domenica Del Tempo Ordinario – Anno – C.

Il ritorno del figliol prodigo

Vangelo

In quel tempo, 1 si avvicinavano a Lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo.2 I farisei e gli scribi mormoravano: “Costui riceve i peccatori e mangia con loro”. 3 Allora Egli disse loro questa parabola: 4 “Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? 5 Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, 6 va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: ‘Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta!’ 7 Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione. 8 “O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? 9 E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: ‘Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta!’ 10 Così, vi dico, c’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte”. 11 Disse ancora: “Un uomo aveva due figli. 12 Il più giovane disse al padre: ‘Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta’. E il padre divise tra loro le sostanze. 13 Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. 14 Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15 Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. 16 Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. 17 Allora rientrò in se stesso e disse: ‘Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame. 18 Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; 19 non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni’. 20 Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21 Il figlio gli disse: ‘Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio’. 22 Ma il padre disse ai servi: ‘Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. 23 Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24 perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato’. E cominciarono a far festa. 25 Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze. 26 Chiamò allora un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. 27 Il servo gli rispose: ‘È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo’. 28 Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. 29 Ma lui rispose a suo padre: ‘Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. 30 Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso’. 31 Gli rispose il padre: ‘Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo. 32 Ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato’” (Lc 15, 1-32).


Tra il perdono e la perseveranza, cosa preferisce Dio?


Di fronte alle obiezioni farisaiche, Nostro Signore traduce in parabole il suo incanto nel perdonare gli uomini, colmandoli di misericordia. Allo stesso tempo, mostra come non tutti accettino l’invito a beneficiarsi delle ricchezze di questo perdono redentore.


I – Una concezione errata della giustizia e della misericordia


Gli uomini sono soliti giudicare gli atteggiamenti altrui, generalmente, con il seguente criterio: Ha agito bene? Merita premio e stima. Ha agito male? Merita castigo e disprezzo. Tale mentalità, oltre a macchiare la purezza d’intenzione delle buone opere, portando la persona a fare il bene per il semplice interesse di ricevere una ricompensa, crea nell’anima condizioni favorevoli allo sviluppo di ogni sorta di vizi, seminati dall’amor proprio ferito, tali come la vendetta, il risentimento e il rancore. Nel rapporto con Dio, di conseguenza, molti si basano sulla stessa concezione e Lo immaginano come un intransigente legislatore, che la minima infrazione fa infuriare e fa scagliare sul colpevole, immediatamente, il meritato castigo. Sempre secondo questo criterio, la benevolenza divina sopravviene soltanto, sotto forma di benedizioni, consolazioni e altri favori soprannaturali, su coloro che, avendo compiuto in modo esimio i Comandamenti, meritano di essere ricompensati.


Ora, questa visione della perfezione infinita di Dio è molto distorta, poiché Gli attribuisce una giustizia in base ai limitati criteri umani e ignora la sua misericordia. Tale attributo è così vigoroso in Lui che arriva a vincere la giustizia stessa. Una prova dell’insuperabile forza della sua compassione sono le parole rivolte ai nostri progenitori, subito dopo il peccato originale: prima di emetere la sentenza alle sofferenze alle quali la natura umana sarebbe stata soggetta nella Terra di esilio, Egli gli ha promesso la venuta di un Salvatore, nato dalla discendenza di Adamo (cfr. Gen 3, 15). Non appena l’uomo aveva peccato, il Signore gli ha garantito il perdono. Per questo, potremmo parafrasare l’affermazione di San Giovanni e dire che, nel “fiat!” di Maria Santissima, il perdono di Dio si è fatto carne e ha abitato tra noi (cfr. Gv 1, 14).


Durante la sua vita mortale, Gesù ha ampiamente manifestato il desiderio di salvare, accogliendo con indulgenza i peccatori pentiti che a Lui accorrevano, fiduciosi di trovarvi il perdono. Ma, la stessa misericordia che tanto attirava gli uni, risvegliava un’aspra indignazione in altri…


II – La misericordia messa in parabole


In quel tempo, 1 si avvicinavano a Lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2 I farisei e gli scribi mormoravano: “Costui riceve i peccatori e mangia con loro”.


Per intendere a fondo il motivo di tale obiezione, basta considerare che i farisei e maestri della Legge esemplificano alla perfezione la mentalità distorta alla quale ci riferiamo. Per loro “Dio è, soprattutto, Legge; si ritengono in rapporto giuridico con Dio e, sotto questo aspetto, liberi con Lui”,1 commenta Papa Benedetto XVI. Era sempre seguendo lo stesso criterio che valutavano gli altri, discriminando come peccatores – e, in quanto tali, oggetto dell’ira divina e del disprezzo degli uomini – tutti i giudei negligenti nel compimento delle prescrizioni legali relative alla purezza rituale o alimentare. Nella stessa categoria includevano i pubblicani, poiché, oltre a collaborare col dominio pagano esercitato da Roma, molte volte erano disonesti nel riscuotere le imposte, commettendo estorsioni a beneficio proprio. Tuttavia, il principale bersaglio di ripulsa erano i pagani, a causa dell’errata idea, molto diffusa tra i Giudei, che l’elezione divina del popolo ebreo fosse sinonimo di condanna eterna per tutte le altre nazioni. In tal modo, se per gli israeliti non osservanti della Legge e per gli esattori di imposte c’era ancora una remota possibilità di salvezza, nel caso si pentissero e si riconciliassero con Dio, tale ipotesi non si applicava ad uno straniero, per il semplice fatto di non essere beneficiario delle promesse fatte ai patriarchi.


Niente avrebbe potuto colpire con veemenza questa mentalità quanto il modo di procedere di Nostro Signore. La guarigione del servo del centurione romano (cfr. Lc 7, 1-10; Mt 8, 5-13), la peccatrice perdonata nella casa di Simone, il fariseo (cfr. Lc 7, 36- 50) e l’inclusione di un esattore di imposte nel Collegio Apostolico, con la chiamata di Levi (cfr. Mt 9, 9-17; Mc 2, 13-22; Lc 5, 27-39), sono alcuni esempi di atteggiamenti scandalosi per i farisei, alle cui orecchie suonavano come blasfeme le parole: “Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi” (Lc 5, 32). Per questa ragione, in ogni occasione cercavano di mostrare la loro ferrea opposizione a Lui, come ci narra l’inizio del Vangelo di questa domenica. 2


Però, siccome Gesù desiderava salvare tutti – inclusi i farisei e i maestri della Legge –, la sua risposta a tali obiezioni è stata una triade di parabole, registrate da San Luca alla maniera di uno stesso argomento presentato in successione, sotto differenti involucri. In ognuno di essi, Nostro Signore mirava non solo a incoraggiare i peccatori che Lo ascoltavano a confidare nel perdono, ma anche a convincere gli oppositori sulla necessità della misericordia, senza la quale nessuno può salvarsi.


 La pecorella smarrita


3 Allora Egli disse loro questa parabola: 4 “Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova?”


Il pastore e il gregge, realtà molto comuni nella società giudaica di quell’epoca, acquistano in questa parabola il loro più elevato simbolismo. Sebbene tale immagine fosse già stata utilizzata nell’Antico Testamento per rappresentare lo zelo di Dio per il suo popolo (cfr. Ez 34), la sua forza di espressività è sublimata dai dettagli aggiunti dal Divino Maestro, in modo da rendere il significato del mistero della Redenzione.


In primo luogo, menzionando la quantità esatta di pecore, Nostro Signore “si riferisce a tutta la moltitudine di creature razionali che Gli sono subordinate, perché il numero cento, composto da dieci decine, è perfetto. Ma di queste, se ne è persa una, che è il genere umano”,3 spiega San Cirillo. Nella vita quotidiana il pastore è preso da angoscia nel notare la mancanza di una pecora e, lasciando da parte il gregge, non risparmia sforzi per recuperare quella smarrita, concentrando su di essa tutta la sua attenzione. Analogo è l’atteggiamento di Dio nella Redenzione: incarnandosi, il Figlio ha lasciato nel Cielo “innumerevoli greggi di Angeli, Arcangeli, Dominazioni, Potestà, Troni”,4 per riscattare, sulla Terra, l’umanità, perduta col peccato.


La gioia del pastore nel trovare la pecora


5 “Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, 6 va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: ‘Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta!’”


Pastore con le sue pecore

Oltre a non castigare la pecorella smarrita quando la trova, il pastore la tratta con estremo affetto e la carica sulle spalle, con una cura che egli non ha avuto con nessuna delle pecore obbedienti. Tale zelo rappresenta le carezze del perdono restauratore di Dio destinato ai peccatori pentiti: invece di punirli per le offese ricevute e così soddisfare le esigenze della giustizia, Egli preferisce manifestare la sua onnipotenza rispondendo agli appelli della misericordia. È l’infinito desiderio di salvare, che soppianta anche la cattiveria umana, come indica San Gregorio Magno: “Ci separiamo da Lui, ma Lui non Si separa da noi. […] Voltiamo le spalle al nostro Creatore, e Lui ancora ci tollera; ci allontaniamo da Lui con superbia, ma Lui ci chiama con somma benevolenza e, potendo castigarci, ancora promette premi affinché torniamo”.5


Tuttavia, la nostra principale attenzione, considerando questa parabola, deve concentrarsi sulla gioia effusiva del pastore nel recuperare la pecora, invitando gli altri a rallegrarsi con lui. È questo il principale dettaglio della narrazione, con il quale Nostro Signore vuol significare la gioia di Dio nel trovare un’anima docile all’azione della grazia e, sebbene abbia deviato dalle vie della virtù, si abbandona alle cure del Buon Pastore e si lascia ricondurre da Lui. Tale flessibilità è l’unica condizione per perdonare e recuperare il peccatore. Con ciò l’anima è presa dalla felicità di vedersi nuovamente in ordine con Dio e in pace con la sua coscienza, dandoGli la gioia di poter manifestare la sua misericordia. E, di conseguenza, parteciperanno a questa contentezza tutti coloro che Lo amano veramente.


7 “Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione”.


Il peccatore e i novantanove giusti simbolizzano, secondo alcuni, l’umanità e gli Angeli, poiché soltanto questi ultimi sono “giusti che non hanno bisogno di conversione”. Mettendo in risalto la sproporzione numerica tra gli uni e gli altri , il Maestro ci dà un prezioso insegnamento circa la superiorità numerica del mondo angelico, il quale “eccede il ristretto campo dei nostri numeri fisici”.6


D’altra parte, si vede la forza del perdono: i suoi effetti ripercuotono tra gli Angeli, causando in loro un maggior giubilo che la loro stessa perseveranza. È un incentivo a non disperarci mai quando ci accorgiamo, pentiti, di esserci allontanati dal gregge, seguendo le nostre cattive inclinazioni. Nel Sacramento della Penitenza, Gesù stesso ci aspetta, disposto a portarci sulle spalle con tutte le nostre miserie.


Un esempio per il pubblico femminile


8 “O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? 9 E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: ‘Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta!’ 10 Così, vi dico, c’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte”.


Senza dubbio, considerevole era il contributo femminile tra il pubblico presente alla predicazione di Nostro Signore. Per questo, Egli compone una seconda parabola, adattando il contenuto precedente a una situazione nella quale la protagonista è una donna di casa, responsabile dell’amministrazione dell’economia domestica, secondo i costumi giudaici. Impiegando tali energie per riavere la moneta perduta, questa donna è presentata da Gesù come immagine dell’instancabile impegno di Dio a far sì “che tutti gli uomini si salvino e giungano alla piena conoscenza della verità” (I Tm 2, 4). Avendo sofferto la Passione e Morte in Croce per redimere l’umanità, Cristo ama ciascuno di noi, individualmente. Un’anima, anche se sembra insignificante a paragone degli inesauribili tesori della sua onnipotenza, è una “monetina” di valore infinito, perché vale il prezzo del suo Preziosissimo Sangue. Ancora una volta, il Salvatore sottolinea il giubilo prodotto tra gli Angeli dalla conversione di “un solo peccatore”.


Narrate dal Divino Maestro, tali scene comuni della vita pastorale e domestica rendono più accessibile alla nostra comprensione il sublime mistero dell’amore di un Dio che, facendo- Si uomo, “è venuto a cercare e a salvare colui che era perduto” (Lc 19, 10).


III – La parabola del Padre perfetto


A somiglianza di un buon vino, il cui cangiante sapore sorprende il palato a ogni degustazione, in modo che mai i suoi estimatori possono affermare di conoscerlo completamente, la terza parabola narrata da Nostro Signore in quest’occasione possiede una tale ricchezza di insegnamento da trarre sempre nuovi aspetti da considerare. È il celebre dramma del figliol prodigo, una delle più belle pagine delle Sacre Scritture. Essendo già stata affrontata in questo ciclo liturgico, in occasione della Quaresima,7 oggi essa ci viene presentata ancora una volta, a partire da un’altra prospettiva.


Il padre consegna i beni al figlio

Il padre consegna i beni


11 Disse ancora: “Un uomo aveva due figli. 12 Il più giovane disse al padre: ‘Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta’. E il padre divise tra loro le sostanze”.


Il padre, senza dubbio, è stato preso da un profondo disgusto nel ricevere la richiesta del figlio minore. Oltre a denunciare l’intenzione del giovane di abbandonare la casa paterna – poiché solo in questo caso si faceva la ripartizione dell’eredità prima della morte del padre8–, la sollecitazione confermava le sue preoccupazioni rispetto a quel figlio, nella cui anima già aveva compreso il tumultuare delle passioni disordinate. Con dolore, ha previsto i cammini tortuosi per i quali il giovane si sarebbe invischiato, ma comprendendo che era impossibile farlo desistere dai suoi intenti, non ha fatto niente per fermarlo e gli ha consegnato la sua parte della fortuna. È esattamente come Dio agisce con noi: ci concede in abbondanza le sue grazie e doni, nonostante conosca, nella sua onniscienza, il cattivo uso che potremo fare di questi beni, sia valorizzandoli poco, sia trascurandoli o addirittura usandoli per peccare.


Pazienza: uno dei nomi della misericordia


13 “Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto”.


Il figlio ha scambiato l’innocenza della famiglia con la vita dissoluta. Immagine espressiva di tutti i battezzati che, disprezzando la condizione di figli di Dio, abbandonano lo stato di grazia commettendo una mancanza grave! Sperperando il tesoro soprannaturale consegnato dal Padre celeste, preferiscono il piacere fugace del peccato alla felicità della comunione con Dio e Maria Santissima, nell’eternità.


A sua volta, in nessun momento il padre si è dimenticato del giovane e, senza mai perdere la speranza di rincontrarlo, continuamente elevava al Cielo afflitte preghiere per la sua conversione. Con uguale indulgenza Dio reagisce con noi quando Lo offendiamo e, nella sua bontà, non ci abbandona mai, anche quando ci allontaniamo da Lui con il peccato. Riflettendo su questa clemenza, scrive Sant’Alfonso de’ Liguori: “Se aveste insultato un uomo come avete insultato Dio, anche se fosse il vostro migliore amico o anche il vostro stesso padre, egli non avrebbe avuto altra risposta se non vendicarsi. Quando offendevate Dio, avrebbe potuto castigarvi in quello stesso istante; siete tornati ad offenderLo e, invece di castigarvi, vi ha offerto bene per male, vi ha conservato la vita, vi ha circondato di tutte le sue attenzioni provvidenziali, ha finto di non vedere i peccati, nell’attesa che vi emendaste e cessaste di ingiuriarLo”.9 Di conseguenza, mentre le due parabole precedenti mettono in risalto l’iniziativa di Dio nella conversione degli uomini, questa illustra un altro aspetto della sua misericordia, che consiste nella pazienza di aspettare che “il peccatore si ravveda, e possa perdonarlo e salvarlo”.10


 Nell’estrema decadenza, ricordo della bontà del padre


14 “Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15 Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. 16 Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava”.



Il figlio prodigo

Il giovane, un tempo ricco, è diventato un indigente affamato, la cui situazione disperata gli ha fatto accettare l’umile lavoro di custode di maiali. È un simbolo della completa miseria alla quale il peccato mortale riduce l’anima, strappandole tutti i meriti e rendendola degna dell’inferno, realtà tanto più terribile di quella del figliol prodigo. “Non c’è catastrofe né calamità pubblica o privata che possa esser comparata alla rovina causata nell’anima da un solo peccato mortale. È come una frana istantanea della nostra vita soprannaturale, un vero suicidio dell’anima in relazione alla vita della grazia”.11


 Non è raro, tuttavia, che Dio permetta che il peccatore cada in quest’infimo stato per far nascere allora nella sua anima la nostalgia per l’innocenza perduta.


17 “Allora rientrò in se stesso e disse: ‘Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame. 18 Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; 19 non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni’”.


Solo allora, nelle amare frustrazioni del peccato, il giovane ha cominciato a riflettere, contrapponendo la penuria in cui si trovava all’abbondanza della casa paterna. Gli sono venuti in mente la bontà e l’affetto di suo padre, il maggior bene perso con la vita sregolata che conduceva. Le sue parole lasciano trasparire questa disposizione d’animo, poiché si riferiscono non a un semplice ritorno a casa, ma a un desiderio di mettersi nuovamente sotto tale protezione: “Tornerò da mio padre”.


Egli però non avrebbe mai deciso di abbandonare il peccato se non ci fosse stata l’azione della grazia nella sua anima, perché è impossibile per l’uomo convertirsi, mosso soltanto dalla propria forza di volontà, come sottolinea Sant’Agostino: “Nessuno si pentirebbe del suo peccato se non ci fosse una chiamata di Dio”.12


L’inattesa accoglienza


20 “Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”.


È molto probabile che il padre abbia sentito accendersi, molte volte, la sua speranza quanto al ritorno del figlio. Si dirigeva, allora, in un luogo da dove poteva vedere le strade della regione e lì trascorreva lunghi periodi a pregare, in una fiduciosa attesa… Fino al giorno in cui “lo avvistò e sentì compassione”. Il giovane, straccione e con la fisionomia sfigurata dalla vita di peccato, era ben cambiato rispetto all’ultima volta che il padre lo aveva visto. Molto più profonda, tuttavia, era la sua trasformazione interiore. Era uscito da casa orgoglioso e ritenendosi autosufficiente; ritornava umile, cosciente della propria debolezza e fiducioso nella bontà del padre. Corsogli incontro, il padre subito ha constatato tale cambiamento e, vincendo tutta la ripugnanza che l’apparenza miserabile del figlio gli causava, non ha esitato a manifestargli con profusione il suo affetto.Questa toccante scena narrata da Gesù rappresenta, in maniera eloquente, l’accoglienza del Padre celeste alle anime pentite, che non è altro che una potente manifestazione del suo amore infinito. “Con quanta tenerezza Dio abbraccia il peccatore che si converte! […] È il Padre che, al ritorno del figlio perduto, gli va incontro, lo abbraccia, lo bacia e, accogliendolo, non può contenere la gioia che trattiene. […] Non appena il peccatore si pente, gli sono perdonati i suoi peccati e [Dio] se ne dimentica, come se mai Lo avesse offeso”,13 mette in risalto Sant’Alfonso de’ Liguori.


Gioia per il ritorno del figlio


21 “Il figlio gli disse: ‘Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio’. 22 Ma il padre disse ai servi: ‘Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. 23 Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24 perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato’. E cominciarono a far festa”.


Il ritorno del figliol prodigo

La buona disposizione d’animo con cui il giovane si presentava, riconoscendo con umiltà il suo errore, era sufficiente perché il cuore paterno traboccasse di contentezza e prendesse provvedimenti per una grande festa. Ponendo per la terza volta l’accento sulla gioia di Dio nel perdonare – personificato qui dal padre –, Nostro Signore insegna anche in questo passo quanto il vero pentimento possa concedere all’anima un grado maggiore di grazia di quello perduto con il peccato,14 poiché il figlio mai era stato onorato con una festa di tale portata quando era vissuto in casa, prima di rovinarsi.


Ancora in questo passo, la nostra attenzione si volge a un piccolo dettaglio: quale la provenienza dell’abito che il padre fa portare per vestire il figlio, in sostituzione degli stracci con i quali si copriva, visto che il giovane aveva raccolto “tutto quello che era suo” prima di partire? Magari è stato preso da quelli appartenenti al figlio più vecchio… In questo caso, si applicherebbe l’affermazione del Maestro: “A chi ha, sarà dato e a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha” (Mc 4, 25). Si nota, dunque, che sebbene il giovane fosse in miseria, possedeva una cosa che da molto il primogenito aveva smesso di avere, un bene inestimabile: l’amore per il padre. I prossimi versetti offrono delucidazioni che confermano tale ipotesi.


Un figlio senza amore per il padre