Vangelo
In quel tempo Gesù disse:25 “Ti benedico, o Padre, Signore del Cielo e della Terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. 26 Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. 27 Tutto Mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. 28 Venite a Me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e Io vi ristorerò. 29 Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da Me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. 30 Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero” (Mt 11, 25-30).
La santa gioia degli umili
Come godere della pace e della gioia su questa Terra,
tanto quanto è possibile, e possederle pienamente
nell’eternità? Entriamo nella scuola di Gesù!
I – Gesù fu umile per darci la sua gioia
La chiave della Liturgia della 14ª Domenica del Tempo Ordinario ci è suggerita subito all’apertura della celebrazione, con la Preghiera Colletta: “O Dio, che nell’umiliazione del tuo Figlio hai risollevato l’umanità della sua caduta, donaci una rinnovata gioia pasquale, perché, liberi dall’oppressione della colpa, partecipiamo alla felicità eterna”.1
A partire dall’uscita di Adamo ed Eva dal Paradiso, l’umanità precipita nell’abisso del peccato. Vediamo, nei suoi primordi, Caino uccidere suo fratello Abele (cfr. Gen 4, 8) e, più tardi, gli uomini corrompersi sulla Terra, al punto che Dio Si pente di averli creati (cfr. Gen 6, 5-7.11-12). Poi, pieni di arroganza, cercano di sfidare l’Onnipotente per mezzo delle opere che intraprendono (cfr. Gen 11, 4) e, infine, cadono nell’idolatria vergognosa, adorando dei di metallo, pietra e legno (cfr. Dt 28, 36; Dn 5, 4; Rm 1, 21-25; Gal 4, 8).
Ma Dio, avendo compassione per tanta miseria, scende dal Cielo e assume la nostra carne per relazionarSi con noi. Nostro Signore Gesù Cristo, Unigenito del Padre, Si umilia e assume su di Sé le nostre iniquità, al fine di redimerci e farci Suoi compartecipi nella felicità eterna, la stessa che Egli gode presso il Padre e lo Spirito Santo. Egli desidera, tuttavia, che tale felicità – la cui pienezza avverrà solo nella beatitudine eterna – cominci a realizzarsi già ora, come chiede la citata Preghiera Colletta. Come raggiungerla anche in questo mondo, per quanto ci è possibile?
Un Re che Si umilia e Si fa povero
L’insieme delle letture di oggi ci offre una pista, che costituisce un punto fermo per il Vangelo. Nella prima (Zc 9, 9-10), tratta dalla Profezia di Zaccaria, leggiamo: “Così dice il Signore: Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re” (9, 9a). Si tratta, infatti, di un Re, che viene a stabilire un impero autentico, ma impalpabile, perché è, soprattutto, interiore: il regno della grazia, della partecipazione alla vita divina, che si diffonde per mezzo della Chiesa visibile, fondata da Lui, e ci prepara alla gloria perenne nel Regno eterno. “Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina” (Zc 9, 9b). Contrariamente ai sovrani dell’Antichità, detentori di immensi poteri e ricchezze, questo Monarca appare povero. Con acume profetico Zaccaria prevede l’episodio della Domenica delle Palme, in cui il Re dei re, Creatore e Redentore dell’universo, il Figlio di Dio unito alla natura umana, sarebbe entrato a Gerusalemme su un asinello, acclamato dalla moltitudine. Egli, meritevole di lodi infinite, tuttavia accondiscende a questa piccola dimostrazione di simpatia, perché – data la concezione orgogliosa di un Messia temporale, che avrebbe risolto tutti i problemi politici e finanziari della nazione – se Egli avesse accettato omaggi pieni di grandezza e sfarzo, avrebbe fatto loro del male, confermandoli in
quella deformata credenza.
Non era giunta l’ora di rivestirSi di forza e splendore, come sarà nella sua seconda venuta quando scenderà dal Cielo per giudicare i vivi e i morti, ma il momento di fare un invito al cambiamento di vita, attraverso l’esempio del distacco dalle cose materiali.
A Dio appartengono tutte le ricchezze
Non pensiamo, però, secondo una certa mentalità erronea, che le nostre manifestazioni riguardo a Dio e al suo culto debbano esser marcate dalla nota della povertà e dell’umiliazione, che le chiese debbano essere spoglie di qualsiasi ornamento, fatte di paglia e fango, simili a capanne, e i tabernacoli per il Santissimo Sacramento debbano essere fatti di argilla, più miseri di un nido di un uccello, fatto di fango.
Al contrario, noi abbiamo l’obbligo di dare a Dio quello che Gli appartiene, come ci ha ordinato Nostro Signore: “a Dio quello che è di Dio” (Mt 22, 21). Cosa spetta, allora a Dio? Cosa Gli dobbiamo restituire? Tutto l’oro della Terra, tutte le ricchezze, perché Lui ha detto: “L’argento e l’oro Mi appartengono” (Ag 2, 8).
La chiesa è la casa di Dio, pertanto, essa è di tutti, tanto del ricco quanto del povero, tanto dell’asiatico quanto dell’occidentale, tanto per quelli di una razza quanto per quelli di un’altra. Essa è anche il lusso del povero, eretta per dar gioia a coloro che non si attaccano ai beni di questo mondo, agli autentici poveri, cioè, quelli di spirito (cfr. Mt 5, 3).
Per tali motivi la Liturgia deve essere maestosa e le chiese ricche come lo è il Cielo Empireo che Dio ha preparato per noi, per il quale non ci sono termini di paragone né linguaggio umano capace di esprimere quello che in esso esiste. San Paolo, che fu trasportato al terzo Cielo (cfr. II Cor 12, 2), San Giovanni Bosco,2 che fu nell’anticamera del Cielo, e tanti altri, non trovarono parole per descrivere le meraviglie lì contemplate.
La pace della buona coscienza
Continua la profezia: Egli “‘annuncerà la pace alle nazioni” (Zc 9, 10). Sì, questo Re è giusto e ricompenserà ognuno secondo le sue opere, ma il suo principale intento è quello di salvare e di concedere la pace. Qual è questa pace? Che sia la pace dei trattati che i capi dei Paesi firmano, riuniti intorno a un tavolo? No! Egli porta la pace vera, quella della buona coscienza di chi pratica la virtù e volge le spalle al peccato. Noi, però, di indole terribilmente fragile e incline al male, come potremmo ottenere tale pace? Per mezzo di Lui che, essendo la Bontà stessa e la Misericordia, ci abbraccia con tenerezza e pazienza nonostante le nostre miserie, ci protegge e rigenera, comunicandoci la forza per salire le vette della perfezione.
È questo l’aspetto che il Salmo Responsoriale cerca di evidenziare, quando dice: “Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature. […] Fedele è il Signore in tutte le sue parole e buono in tutte le sue opere. Il Signore sostiene quelli che vacillano e rialza chiunque è caduto” (Sal 144).
La prospettiva finale ci dà pace e santa gioia
Nella seconda lettura (Rm 8, 9.11-13), San Paolo – come apostolo della Resurrezione – espone la caratteristica essenziale di questa pace, ponendoci di fronte alla prospettiva della nostra resurrezione, vetta della felicità alla quale siamo invitati: “Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. E se lo Spirito di Colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, Colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi” (Rm 8, 9.11).
Purché viviamo nella speranza della resurrezione finale ed evitiamo il peccato per non morire eternamente, conquisteremo la pace e la santa gioia, già in questa valle di lacrime. Abbandoniamoci dunque alla “misericordia, pietà, amore, pazienza, compassione e tenerezza” del Signore, fiduciosi che nell’Ultimo Giorno, se saremo morti nella grazia di Dio, le nostre anime scenderanno dal Cielo al suono della tromba (cfr. Mt 24, 30-31) per unirsi ai corpi, che assumeranno lo stato glorioso.
Tuttavia, la chiave svelata dalle letture è appresa solo tenendo ben chiaro l’insegnamento di Nostro Signore espresso nel Vangelo.
II – La vera essenza dell’umiltà
In quel tempo Gesù disse: 25 “Ti benedico, o Padre, Signore del
Cielo e della Terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai
sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. 26 Sì, o Padre,
perché così è piaciuto a te”.
Ai giorni nostri c’è chi, incaricato della missione di predicare, afferma che il Divino Redentore sia venuto esclusivamente per i miserabili e i poveri, dando un’interpretazione sociale – per non dire socialista – a diversi passi del Vangelo, e in concreto a questo brano così profondo e magnifico, in particolar modo per quanto riguarda il termine “piccoli”.
I piccoli nel concetto di Gesù
“Piccoli”, nel linguaggio del Divino Maestro, sono coloro che dubitano delle proprie forze, sapendo che con la loro semplice energia e impegno non potranno mai penetrare nel piano soprannaturale della grazia. La nostra filiazione divina non proviene dai nostri meriti, affinché nessuno possa vantarsene (cfr. Ef 2, 8-9), ma si opera attraverso il Battesimo, col quale ci è infusa una partecipazione creata alla vita increata di Dio: la grazia santificante. Più tardi questa relazione con Dio s’intensifica per mezzo degli altri Sacramenti e con gli esercizi di pietà, dai quali assorbiamo coraggio e vigore per praticare stabilmente la virtù. Ecco l’essenza del Regno di Dio che Nostro Signore è venuto ad annunciare. Pertanto, è necessario tenere sempre presente nello spirito quanto tutto questo ci viene da una rivelazione fatta dal Padre, come asserisce San Giacomo: “ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall’alto e discende dal Padre della luce” (1, 17).
Già era così nel Paradiso Terrestre, dove l’uomo, creato nella grazia, sebbene in stato di prova, e ornato con una panoplia di doni naturali, preternaturali e soprannaturali, doveva riconoscere questa distanza infinita esistente tra lui e il suo Artefice, confessandosi una semplice creatura e restituendo a Dio quello che Gli è dovuto. L’umiltà dell’essere umano consisteva nel considerare questa verità e, con tale convinzione, Adamo ed Eva erano piccoli. Piccoli, sì, e allo stesso tempo grandi, poiché la loro anima era tabernacolo della Santissima Trinità, dono insuperabile, il cui massimo sviluppo sarebbe sbocciato nella gloria della visione beatifica. Dio non avrebbe potuto concedere di più!
Maria Santissima: grande e piccola davanti a Dio
Ora, se i nostri progenitori uscirono dalle mani di Dio in grazia, noi, loro discendenti, siamo stati tutti concepiti in peccato, a eccezione di una persona che non ha maicommesso una colpa né è stata toccata dalla macchia originale: nostra Madre, Maria Santissima, scelta dal Padre per generare il suo Unico Figlio nel tempo. Anche Lei era piccola, come ha manifestato nella visita a sua cugina Santa Elisabetta, dicendo: “Magnificat anima mea Dominum, […] quia respexit humilitatem ancillæ suæ – L’anima mia magnifica il Signore, […] perché ha guardato l’umiltà della sua serva” (Lc 1, 46.48). Ecco il modo di essere piccoli: testimoniare che tutto quello che c’è in noi di buono viene da Dio.
La Madonna è l’umile per eccellenza, e non c’è stato chi attestasse in modo tanto eccellente la propria piccolezza quanto Lei. Ma, in modo analogo, mai c’è stato chi avesse nozione tanto lucida della grandezza posta da Dio in Sé, come Lei. Per questo aggiunse: “quia fecit mihi magna, qui potens est – Grandi cose ha fatto in Me l’Onnipotente e Santo è il suo nome” (Lc 1, 49). Infatti, Le furono concessi favori incomparabili, al punto che, in Lei, Dio quasi esaurì la sua capacità di dare. “‘Basta dir questo, per la tua gloria: hai avuto per figlio Gesù’. Si può immaginare gloria più eccelsa? È, infatti, una dignità così mirabile che Dio stesso, nonostante la sua onnipotenza, non avrebbe potuto crearne una più sublime. Affinché potesse esserci una madre maggiore e più perfetta di Maria, sarebbe stato necessario un figlio maggiore e più perfetto di Gesù”.3
Secondo l’insegnamento di Gesù, la condizione perché il Padre Si riveli è questa constatazione della nostra indegnità, a imitazione di Maria, poiché chi non procede così, finisce per incontrare un Dio che gli nasconde “queste cose”. Come comprendere questo modo di agire del Padre?
I saggi secondo il mondo
“Saggi”, nel concetto corrente, sono coloro che acquisiscono esperienza nel corso della vita ed “esperti” quelli che si sono dedicati a studi approfonditi. Tuttavia, riferendoSi a loro, Nostro Signore non condanna la saggezza in sé – e non starebbe bene che lo facesse, visto che Lui è la Saggezza Eterna e Incarnata –, ma quelli che si appoggiano alla loro cultura umana per raggiungere il piano soprannaturale.
C’è chi studia instancabilmente, arrivando a giudicarsi un colosso illuminato, solo perché ostenta le sue conoscenze con maggior rapidità dello schermo di un computer e finisce per allontanarsi da Dio, appropriandosi della scienza che non gli appartiene! Quest’orgoglio dell’intelligenza è dei peggiori. Ora, dice Qoèlet: “Vanità delle vanità, tutto è vanità” (1, 2). Quanto più uno sa, più percepirà quanto poco sa, poiché la saggezza secondo il mondo è insignificante. Ecco il vuoto di coloro che si vantano della loro erudizione.
Padri ed esegeti4 concordano nell’affermare che in questo passo del Vangelo Gesù allude chiaramente ai farisei, ai legisti e ai membri del Sinedrio in generale, i quali esaminavano la Legge nelle sue minuzie ed erano ritenuti dotti. Commenta, per esempio, San Giovanni Crisostomo: “Il Signore non parla della vera saggezza, che merita ogni lode, ma di quella che essi immaginavano di possedere per la loro abilità personale. […] Se scribi e farisei, che si ritenevano saggi, avevano perduto quella grazia, lo dovevano al loro stesso orgoglio”.5 L’atteggiamento dei superbi causa ripulsa a Dio che, di conseguenza, li castiga, nascondendo loro le meraviglie soprannaturali, mentre le svela ai piccoli.
La Buona novella ai piccoli
Per tale ragione il Divino Maestro non scelse quelli che stavano nel Tempio, formati nelle diverse scuole di fama, e rivelò la Buona novella che Egli portava a pescatori, a un esattore d’imposte, a gente semplice, in apparenza senza importanza… Non immaginiamo, però, che i pescatori costituissero in quell’epoca, una classe secondaria. La pesca era una professione di un certo livello, lungi dall’essere valutata come spregevole nella società, ma quelli che la esercitavano non ricevevano un’accurata istruzione.6
Su quest’aspetto particolare, merita di essere sottolineata l’opinione di padre Bessières: “Ignoranti? Sì, essi lo sono agli occhi dei dottori che regnano a Gerusalemme. Reclutati in questa ‘plebaglia maledetta che ignora la Legge’, essi sono incapaci di analizzare a fondo un vecchio testo per trarne conclusioni tanto inutili quanto fuori luogo; né professori, né casisti, né filologi. […] Gli Apostoli erano ‘illetterati’? No. […] I Dodici appartengono alla classe media la cui istruzione, in quel tempo, non aveva nulla da invidiarci. […] Poveri? Sì, nello stesso senso in cui erano e sono nove decimi dei mortali, che vivono del loro lavoro quotidiano, in economia e sobrietà. Ci sono due gruppi tra i Dodici. Uno è quello dei pescatori del Lago: Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, Tommaso e Natanaèle; essi formano, a quanto pare, una piccola società di pesca, come esistono nelle nostre coste, che mettono in comune il loro lavoro, con i suoi frutti e rischi. Essi possiedono le loro case, le loro barche, le loro reti e impiegano ‘mercenari’. Più ancora di quelli del primo gruppo, quelli del secondo: Matteo, l’esattore d’imposte, Filippo, Giuda Taddeo e Giuda appartengono alla classe media e hanno ricevuto la loro cultura. Cultura sviluppata nel contatto con il mondo romano, al quale i loro affari e poi il loro apostolato li avevano mescolati”.7
La chiamata degli Apostoli
A questa istruzione media dei primi discepoli si somma il fatto che alcuni di loro erano stati preparati da San Giovanni Battista e altri, forse per fede e devozione, si dedicavano ad apprendere la dottrina.
Gesù, Mediatore necessario dei piccoli
27 “Tutto Mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio
se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui
al quale il Figlio lo voglia rivelare”.
Dicendo queste parole, Nostro Signore dichiara che Egli è il Pontefice Massimo, il Mediatore necessario, il Signore della Rivelazione inedita che solo Lui può trasmettere. È in Lui, pertanto, fonte e punto di riferimento, cui dobbiamo abbeverarci per conoscere gli splendori del rapporto con Dio, adorandoLo, con umiltà, nella preferenza del Padre per Lui rispetto al resto del genere umano, e nella liberalità nell’averGli dato tutto. La gioia che emana dalla Liturgia di questa domenica si concentra in un nome: Gesù Cristo.
Tuttavia, il Salvatore è generoso e prodigo nel distribuire i suoi doni, fino all’estremo di consegnare la sua stessa Madre come Mediatrice presso di noi. Gli piace che la nostra relazione con Lui e con il Padre si compia attraverso Maria, e Si manifesta ancor più generoso e accessibile alle nostre suppliche, quando queste Gli sono da Lei presentate.
Cristo invita tutti…
28a “Venite a Me, voi tutti,…”
Bellissima frase, di una ricchezza piena, perché pronunciata da un Essere Supremo e Assoluto, in un’effusiva dimostrazione di tenerezza verso di noi! È un invito universale. Avendo visto l’avversione che l’orgoglio produce in Dio, si direbbe che subito saremmo schiacciati da una sua parola. Ma no… Lo stesso Signore che detesta i presuntuosi e che apparentemente chiamerebbe soltanto gli umili, non fa nessuna preferenza di persone e a tutti desidera portare gioia e speranza.
“Venite a Me tutti”. Solo Lui può dire questo, poiché, se fosse una mera creatura con i suoi limiti non riuscirebbe a ricevere tutti, pur aiutato dalla grazia. Quante volte, presi dalla frenesia delle attività, diventa impossibile ascoltare ognuno di quelli che si avvicinano a noi! Cristo, invece, nella sua divinità, è l’unico capace di accogliere tutti quelli che esistono, sono esistiti ed esisteranno, e addirittura quelli che sarebbero potuti esistere e non sono esistiti. Chiunque sia, basterà che si avvicini a Lui e chieda, lasciandoGli piena libertà di azione, perché Lui esaudisca, adempia, trabocchi.
Si stancava Nostro Signore?
28b “…che siete affaticati e oppressi, e Io vi ristorerò”.
Qui Nostro Signore fa una dichiarazione piena di affetto a coloro che sono affaticati. Lui Si stancava?
Volgiamo i nostri occhi a Gesù nella barca di Pietro. Una scomoda barca da pescatore di quei tempi, sprovvista del conforto e delle meraviglie della tecnica che oggigiorno hanno i transatlantici, e con un rullio continuo da causare nausea ai più sensibili. Un pomeriggio di mare increspato, Nostro Signore era addormentato a poppa della dura imbarcazione, in mezzo alla tempesta, appoggiato su un cuscino (cfr. Mc 4, 35-38). Gli Apostoli, spaventati per il vento e le onde, certamente desideravano che quegli scossoni svegliassero il Maestro, in modo da salvarsi dall’imminente pericolo.
Egli, invece, dormiva un sonno così profondo che nulla Lo poteva interrompere…
Ci imbattiamo in una realtà incomprensibile: il Signore Gesù, Uomo perfettissimo e senza macchia, era affaticato… La dottrina cattolica ci insegna che, incarnandoSi, il Verbo volle assumere un corpo sofferente, soggetto a certe limitazioni corporali provenienti dal peccato, come la fame, il sonno, la fatica, la morte.8 Ma la stanchezza sperimentata da Lui era puramente fisica e Gli bastava dormire un po’ per sentirSi riposato. La sua Anima era nella gloria della visione beatifica e, mentre Lui chiudeva gli occhi del Corpo, non Si spegneva la sua contemplazione divina, poiché continuava a vedere Dio faccia a faccia, ininterrottamente.
La fatica dell’anima
Anche noi, quando ci affatichiamo, abbiamo bisogno di alimentarci bene e di riposare per recuperare le energie del corpo. La nostra anima, però, non si trova nella beatitudine e, concepita nel peccato originale, con frequenza risente di una terribile stanchezza che nessun sonno può vincere. Ed è questo tedio interiore cui fa riferimento Nostro Signore. Egli parla a coloro che sono curvi sotto il peso della lotta contro le sollecitazioni per il male, contro le proprie miserie e inclinazioni, che è necessario reprimere e, per questo, hanno come la schiena sanguinante da tanto sforzo e combattimento nella vita spirituale. Senza una fede robusta e incrollabile non è facile condurre la barca della vocazione, perché gli scossoni e le instabilità sono tremendi, e subito siamo assaliti dalla tentazione che hanno avuto gli Apostoli in mezzo alla tempesta: la mancanza di fiducia.
Gesù è disposto ad addolcire la nostra battaglia e ci offre sollievo, prendendo Egli stesso sulle sue spalle i fardelli di tutti, e così promette non solo in quanto Uomo – la voce e le labbra sono umane –, ma come Seconda Persona della Santissima Trinità, considerato che la rivelazione fatta nella frase precedente riguarda la sua divinità. E la sua parola è esatta perché Lui è la Verità e compie tutto quello che la sua bocca proferisce.
Una scuola di umiltà
29 “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da Me, che sono
mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. 30 Il
mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero”.
Invitandoci ad apprendere da Lui, Gesù Cristo ha voluto significare, secondo i costumi e gli usi linguistici dell’epoca: “Entra nella mia scuola”.9 Egli sta fondando una nuova via di umiltà e mansuetudine, e ci attira a seguire i suoi passi.
L’orgoglioso, tuttavia, non riesce a essere mansueto, poiché ospita nel suo cuore un dinamismo che lo porta a replicare, a optare per la violenza, per la rivolta e per la vendetta. L’orgoglio e la ribellione si oppongono proprio alla mansuetudine e all’umiltà, e sono, questo sì, la maggior fonte delle agitazioni, delle depressioni, delle euforie intemperanti, pertanto, della perdita dell’equilibrio e dell’obiettività. Non dimentichiamoci che, come indica il Prof. Plinio Corrêa de Oliveira, il processo rivoluzionario che da cinque secoli mira a distruggere la Civiltà Cristiana ha la sua molla propulsiva nell’orgoglio.10
Questo vizio, così radicato nella nostra natura decaduta, si basa su due istinti di per sé legittimi: il primo è la stima di sé, e il secondo, l’appetito della stima degli altri. Impulsi che provengono, a loro volta, dal sentimento della propria dignità. Ognuno deve apprezzarsi in modo equanime in quanto è portatore di doni concessi dalla Provvidenza, ma anche deve saperli valorizzare per l’amore di Dio, ammettendo la gratuità con la quale gli sono stati dati, senza merito alcuno da parte sua. L’errore consiste, dunque, nell’amarsi in eccesso e cercare, sempre in eccesso, l’apprezzamento degli altri. Ecco l’essenza dell’orgoglio. Ora, è impossibile sradicare entrambe le tendenze dall’anima. Come, allora, voler bene a sé stessi con giusta misura, secondo la retta ragione, e, lecitamente, cercare la considerazione degli altri?
Archetipo sublime è Nostro Signore Gesù Cristo! In Lui si armonizzavano l’elevato senso d’onore, il perfetto amore per Sé e il desiderio ordinato dell’affezione degli uomini, con completa mansuetudine nell’accettare le umiliazioni della Passione, per compiere docilmente la volontà del Padre. Anche i Santi, lungo la Storia, sono modelli che la Chiesa ci propone. Tutti loro hanno adottato la scuola di Gesù e hanno appreso da Lui, riconoscendo gli attributi che la Provvidenza aveva loro affidato – perché l’umiltà non mira ad annientare la personalità, né a misconoscere le qualità –, senza mai attaccarsi a queste ricchezze, né utilizzarle come strumento per eguagliarsi a Dio. Sempre restitutori, hanno fatto rendere al centuplo i talenti che hanno ricevuto.
“La prima delle virtù” – diceva San Giovanni Maria Vianney – “è l’umiltà, la seconda, l’umiltà, la terza, l’umiltà. Oh! Bella virtù! I Santi non si ritenevano nulla, ma Dio li stimava e concedeva loro tutto quello che chiedevano. […] Tutto quello che abbiamo appartiene a Dio. È Dio che ce l’ha dato; di nostro, non abbiamo nient’altro che il peccato!”.11
III – Entriamo in questa scuola!
E necessario, dunque, stare attenti a non costituire come falsi dei, la tecnica, la salute, il denaro, gli studi o le capacità personali. Niente idolatria e niente orgoglio! Chi stabilisce divinità per sé, dimenticandosi del Dio unico, diventa cieco di Dio. Questo male è peggiore della perdita della vista, poiché chi ne soffre finisce per non intendere le verità che il Padre rivela solo ai piccoli. Che vantaggio arreca a uno partecipare a una corsa, essendosi preparato per raggiungere la massima velocità, se, quando l’arbitro suona il fischietto, avanza con tutta rapidità fuori della pista e nella direzione sbagliata? Così accade allo sventurato che si presenta al Giudice Supremo – magari andasse a mani vuote! – con le mani sporche di orgoglio e idolatria.
Il giovane ricco, per esempio, fu un piccolo in apparenza, che finì per lanciarsi nel precipizio dell’idolatria. Meno erudito degli Apostoli, perché non faceva parte dei seguaci di Gesù, avrebbe dovuto, pertanto, mostrarsi più piccolo di loro. Invece, il suo straordinario apprezzamento dei beni che possedeva, lo portò a non dare ascolto alla promessa del Signore: “avrai un tesoro nel Cielo” (Mt 19, 21). Fu invitato e rifiutò perché non volle essere piccolo…
Al contrario, chi si consegna interamente ed entra nel discepolato di Cristo, abbracciando il suo giogo, subito sente quanto questo sia soave e leggero. Le leggi che Egli stipula offrono l’anelato riposo, perfezionano l’intelligenza, irrobustiscono la volontà, temperano e raffinano la sensibilità. Esse ci danno, soprattutto l’opportunità di raggiungere la felicità alla quale siamo chiamati: la santità!
Siamo umili come il Signore Gesù è l’Umiltà, mansueti come Egli è la Mansuetudine, cercando in tutte le cose di essere santi come Egli è la Santità. Nella pratica di queste virtù, sull’esempio del Divino Maestro, troveremo la pace e la santa gioia per le nostre anime.
1) 14ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO. Preghiera Colleta.
In: MESSALE ROMANO. Riformato a norma dei decreti del Concilio
Ecumenico Vaticano II e promulgato dal Papa Paolo VI. Città del
Vaticano: L. E. Vaticana, 1983, p.260.
2) Cfr. SAN GIOVANNI BOSCO. Vestíbulo del Cielo. In: Biografía y
escritos. Madrid: BAC, 1955, p.654-663.
3) ROSCHINI, OSM, Gabriel. La Madre de Dios según la fe y la
teología. 2.ed. Madrid: Apostolado de la Prensa, 1958, v.I, p.349.
4) Cfr. SAN GIROLAMO. Commento a Matteo. L.II (11,2-16,12), c.11,
n.30. In: Obras Completas. Comentario a Mateo y otros escritos.
Madrid: BAC, 2002, v.II, p.139; TUYA, OP, Manuel de. Biblia
Comentada. Evangelios. Madrid: BAC, 1964, v.V, 1964, p.272.
5) SAN GIOVANNI CRISOSTOMO. Omelia XXXVIII, n.1. In: Obras.
Homilías sobre el Evangelio de San Mateo (1-45). 2.ed.
Madrid: BAC, 2007, v.I, p.755-756.
6) Cfr. WILLAM, Franz Michel. A vida de Jesus no país e no povo de
Israel. Petrópolis:
Vozes, 1939, p.146.
7) BESSIÈRES, SJ, Albert. Jésus formateur de chefs.
Paris: Spes, 1936, p.70-71; 73
8) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. III, q.14, a.1,
ad 2; a.4.
9) TUYA, op. cit., p.276.
10) Cfr. CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio. Revolução e Contra-Revolução.
5.ed. São Paulo: Retornarei, 2002, p.14.
11) FOURREY, René (Org.). Ce que prêchait le Curé d’Ars.
Dijon: L’échelle de Jacob, 2009, p.267-268.
Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” da Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.
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