Vangelo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 1 “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. 2 Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; 3 quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono Io. 4 E del luogo dove Io vado, voi conoscete la via”. 5 Gli disse Tommaso: “Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?” 6 Gli disse Gesù: “Io sono la Via, la Verità e la Vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di Me. 7 Se conoscete Me, conoscerete anche il Padre: fin da ora Lo conoscete e Lo avete veduto”. 8 Gli disse Filippo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. 9 Gli rispose Gesù: “Da tanto tempo sono con voi e tu non Mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto Me ha visto il Padre. Come puoi dire: ‘Mostraci il Padre?’ 10 Non credi che Io sono nel Padre e il Padre è in Me? Le parole che Io vi dico, non le dico da Me; ma il Padre che è con Me compie le sue opere. 11 CredeteMi: Io sono nel Padre e il Padre è in Me; se non altro, credetelo per le opere stesse. 12 In verità, in verità vi dico: anche chi crede in Me, compirà le opere che Io compio e ne farà di più grandi, perché Io vado al Padre” (Gv 14, 1-12).
I dubbi di alcuni aiutano la fede di molti Le antiche rivelazioni erano conosciute e abbracciate dagli Apostoli. Tuttavia, le innovazioni esternate dal Signore ampliarono molto i loro orizzonti, causando alcune perplessità. I dubbi positivi di Tommaso e quelli ingenui di Filippo contribuirono ad arricchire ancor più le nuove rivelazioni. I – “Non sia turbato il vostro cuore”
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 1 “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. La previsione fatta da Gesù ai suoi Discepoli, sulla triplice negazione di Pietro, prima del canto del gallo, come anche l’annuncio del tradimento che sarebbe stato perpetrato da Giuda, furono tali da turbare i loro cuori.1 Per questo afferma Maldonado: “Secondo l’opinione di tutti gli autori greci, questa frase è stata pronunciata da Cristo affinché gli Apostoli non si spaventassero troppo nell’udire la previsione riguardo a Pietro (che Lo avrebbe rinnegato) e pensassero che anche loro, contro la loro volontà, Lo avrebbero tradito, una volta che il capo e più valente di tutti sarebbe dovuto cadere”.2 Alcuni di questi autori hanno perciò concluso che questo consiglio di Cristo, il quale dimostrava di conoscere il pensiero dei suoi Discepoli, abbia costituito una prova della sua divinità. Gli Apostoli avevano fede in Dio fin dall’infanzia in quanto erano stati educati dai genitori nei principi della vera Religione. D’altra parte, in numerosissime occasioni avevano avuto l’opportunità di manifestare questa credenza. Ma, a partire da allora, Gesù vuole un passo in più in questo cammino. “È esattamente il leitmotiv di tutto questo discorso: Gesù esige dai suoi Discepoli che essi abbiano fede in Lui come la posseggono nel Padre, credano che Lui sia nel Padre e il Padre in Lui”.3 “Prima della sua partenza, Cristo risolleva loro lo spirito: che non ci sia ‘turbamento’. Come ‘Voi avete fede in Dio, abbiate fede anche in Me’. Visto che ‘credono’ in Dio, ‘credano’ anche in Lui; che questa fede si mantenga e aumenti durante la sua assenza, malgrado assistano alla sua Morte in Croce; che credano in Lui come al Figlio di Dio, tema del Vangelo di Giovanni. […] Per questo, il primo verbo è all’indicativo presente, e il secondo, all’imperativo”.4 Il credere nel Figlio di Dio porta nel cuore una tranquillità imperturbabile, la vera fiducia e serenità, in una parola, una pace solida, poiché, nonostante tutti gli ostacoli, lotte e debolezze che possiamo patire, Dio e il suo Cristo trionfano nella Loro onnipotenza, come commenta Crisostomo: “La fede che avete in Me e in mio Padre che Mi ha generato, è più potente di tutti gli avvenimenti che possano sopravvenire: nessun ostacolo ha potere contro di essa. In questo modo manifesta il potere della Divinità, che metteva in evidenza i pensieri riposti nelle loro anime, dicendo: ‘Non si turbi il vostro cuore’”.5 Questo consiglio di Gesù si estende anche a noi, perché, se abbiamo Cristo, che con la sua Provvidenza divina governa tutte le cose e può trarre frutti per la sua gloria da tutti gli avvenimenti, come si può turbare il nostro cuore? Egli è il nostro Salvatore che tutto ha previsto e, oltre ad essere passato per tutte le prove, ci accompagna ad ogni passo con una profusione di grazie e doni, mirando alla nostra stessa glorificazione. Tenendo presente questo, non aver fede o averla in forma debole, o addirittura non sapersi appoggiare ad essa durante le difficoltà, afflizioni e angustie, è essere infelici. Peggio ancora quando si cerca consolazione nel mondo o nella carne, perché entrambi sono incapaci di aiutarci.
II – La promessa del Regno dei Cieli
2 “Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei
detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi
avrò preparato un posto, 3 ritornerò e vi prenderò con me, perché
siate anche voi dove sono Io. 4 E del luogo dove Io vado, voi conoscete la via”.
In questi tre versetti, Gesù tratta le realtà eterne e soprannaturali legate alla nostra fede ma, trovandosi la sua Anima nella visione beatifica fin dalla sua creazione, discorre sopra questi argomenti con tutta l’autorità e chiarezza, mantenendo la semplicità di chi narra ciò che vede. Le immagini da Lui impiegate, acquistano candore e nel contempo sono pregnanti. Con la sua didattica divina, Si esprime in modo interamente accessibile. Le verità contenute in questi versetti sono trasmesse al fine di infondere nei Discepoli la fiducia di non essere esclusi dal suo Regno, sebbene non potessero seguirLo in quel momento. “Egli li consola, garantendo loro che non restano esclusi, anche se al momento non Lo seguono. A suo tempo lo faranno, e non gli mancherà il posto lì, perché ‘nella casa di suo Padre’, cioè, nel suo Regno, ‘ci sono molti posti’ e ad ognuno è riservato il proprio, senza il pericolo che un altro lo occupi”.6 Il Regno dei Cieli è il Paradiso dei Beati, creato fin dal principio del mondo, le cui porte si sono chiuse per il peccato dell’uomo. Gesù annuncia che Egli non solo aprirà queste porte con la sua Morte, Resurrezione e Ascensione, ma prenderà possesso del Regno in suo nome e per i suoi meriti, e preparerà in esso un posto per ognuno di noi. D’altra parte, malgrado questo Vangelo accentui la nota della moltitudine dei posti,7 essi sono differenti, pertanto, disuguali. A questo riguardo, con proprietà, San Gregorio commenta: “I molti posti combinano con l’unico denaro, perché, sebbene alcuni si rallegreranno e si allieteranno più di altri, tutti, comunque, godranno nel possesso unico della visione del loro Creatore. […] Non sentono neppure gli effetti di questa diseguaglianza, perché lì ognuno riceve quel tanto di gloria che gli basta”.8
Gesù preparerà il posto e ritornerà per portarci con Lui
A questo commento aggiunge Sant’Agostino: “Così Dio sarà tutto per noi: essendo Lui la carità, in base a questa farà in modo che il bene posseduto sia comune a tutti. In questo modo, ognuno possiede il bene che egli stesso non ha, nella proporzione in cui lo ama nell’altro. Non ci sarà, dunque, invidia nella disuguaglianza di gloria, perché regnerà l’unità di amore”.9 Commentando Sant’Agostino, il padre Manuel de Tuya, a sua volta, va oltre: “L’insegnamento è che il Cielo non sia soltanto per pochi; esso ha un’immensa capacità; ci stanno tutti. E’ probabile che l’immagine abbia come base il piano del Tempio, con le sue molteplici stanze e divisioni, che Cristo un giorno ha definito come ‘la casa di mio Padre’ (Gv 2, 16). Precisamente Lui va in Cielo come un Figlio alla casa di suo Padre. “Questo fa già vedere loro la sua sollecitudine, poiché va a ‘preparare loro un posto’. Sant’Agostino pensava che Egli avesse fatto questo preparando qui i futuri inquilini. Questa interpretazione, tuttavia, ‘modifica’ sostanzialmente la metafora. Il motivo di questa ‘preparazione’ è che nessuno sarebbe potuto entrare nel Cielo prima che vi fosse entrata l’Umanità di Cristo resuscitato, visto che Egli è la ‘primizia’ di tutta l’umanità. “Tuttavia, Cristo non va solamente a ‘preparare loro’ un posto, – sebbene si diriga direttamente ai suoi Apostoli, la dottrina è universale – ma annuncia il suo ritorno per portarli con Lui alla loro casa, dopo aver ‘preparato’ il Cielo per gli uomini, mediante il suo stesso ingresso in esso. Questo è quello che chiedeva al Padre nella sua ‘preghiera sacerdotale’ (Gv 17, 24). A che momento si riferisce questa venuta? Si è suggerito il momento della morte, o della parusia o semplicemente si sarebbe affermato il fatto, senza precisare il momento. “Non sembra riferirsi al momento della morte. È un tema non trattato nei Vangeli con questa esclusiva e specifica precisione. Generalmente si ammette la parusia, il tema frequente e speranzoso della prima generazione cristiana. Sono molte le allusioni fatte a questo negli scritti neotestamentari. Soprattutto San Paolo parla della parusia di Cristo, nella quale i giusti escono all’‘incontro’ del Signore che viene a prenderli ‘così staremo per sempre con il Signore. Pertanto, consolatevi gli uni gli altri con queste parole’ (I Ts 4, 17-18)”.10
La nostra grande dimora è lo stesso Dio
La teologia ci spiega che la nostra grande dimora è lo stesso Dio; Egli è il nostro Tempio. Coloro che in Lui credono con speranza e amore, propriamente e in verità, abitano in Lui. Le immagini impiegate da Gesù in questi versetti sono infinitamente inferiori alla realtà, a tal punto che noi non possediamo, in questa Terra, una conoscenza perfetta riguardo ad essa. Solamente Gesù ce l’aveva nella sua pienezza ed è per questo che parla con piena proprietà su questa materia. In quanto Dio, in Lui non si è mai interrotta questa sua conoscenza e amore. Sotto la sua natura umana, avrà collocato il suo Corpo glorificato nel centro attivo del rinnovamento di tutta l’opera della creazione, persino degli esseri minerali (cfr. Rm 8, 18-25). Egli ritornerà per elevarci di natura, superando il nostro stato di animalità e la stessa morte, in modo da stare dove Lui si trova. Che altro ci manca? Il nostro posto è preparato, la parola e la promessa di Dio ci sono state date, è indispensabile intraprendere gli sforzi necessari per adempiere all’unico requisito: essere pronti per questa grande venuta.
III – “Io sono la Via, la Verità e la Vita” 5 Gli disse Tommaso: “Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?”
Gesù aveva già detto loro in altre occasioni che sarebbe ritornato dal Padre, dopo essersi consegnato al Sinedrio, essere stato crocifisso e dopo essere resuscitato, questa sarebbe stata la sua via. Per questo ha risposto in precedenza a Pietro: “Dove Io vado per ora tu non puoi seguirMi; Mi seguirai più tardi” (Gv 13, 36). Pertanto, gli Apostoli sapevano.
La rusticità degli Apostoli
Secondo San Giovanni Crisostomo, Tommaso chiede con ogni rispetto, mosso dal desiderio di dare un’opportunità a Gesù di essere più esplicito. Teofilatto nota la differenza di obiettivi nelle questioni poste da Pietro e Tommaso. Il primo voleva seguire il Maestro, l’altro era preso dall’insicurezza davanti alla possibilità che tutti loro dovessero affrontare situazioni di rischio. Analizzando il pensiero di ambedue, Maldonado è propenso a vedere in questo atteggiamento di Tommaso “una tacita lamentela e un amoroso rimprovero per non aver mai voluto dire loro apertamente dove sarebbe andato”.11 Si può anche facilmente dedurre da questa domanda quanto alcuni degli Apostoli, se non tutti, avessero l’equivoca idea che il Divino Maestro stesse annunciando un viaggio, in cui lo avrebbero accompagnato, come tante altre volte. Questa deduzione ha il suo forte appoggio nelle nostre stesse reazioni, perché innumerevoli volte ci dimentichiamo degli insegnamenti ricevuti o addirittura li conserviamo in pura teoria, senza applicarli ai casi concreti. Nella ricchezza, ci dimentichiamo dell’obbligo del disinteresse; nella povertà, della virtù della rassegnazione; nella malattia, del merito della sofferenza; nella gloria, dell’umiltà; insomma, in ogni circostanza, dovremmo vivere – non solo conoscere! – in funzione del nostro fine ultimo, l’eternità. Ritornando all’analisi dell’atteggiamento dei Discepoli di fronte all’affermazione di Gesù, ascoltiamo quello che ci dice padre Manuel de Tuya, su questo passo: “Gli Apostoli sembrano essere molto grossolani, non comprendendo, come in altre occasioni, gli insegnamenti di Cristo. Annunciando loro che va al Padre, in Cielo, essi avrebbero dovuto comprendere ciò che già aveva detto loro, in altre forme, tante volte: che dovevano accettare il suo ‘messaggio’”.12
6 Gli disse Gesù: “Io sono la Via, la Verità e la Vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di Me.
Maldonado13 cerca di dimostrare quanto sia difficile intendere la ragione per la quale Gesù aggiunge la “Verità” e la “Vita” alla “Via”. Quanto a quest’ultima, ci mostra come Cristo è per noi “Via” con la sua dottrina, con la necessaria fede che in Lui dobbiamo avere per giungere alla vita eterna, lo stesso riguardo all’imitazione di Lui, che per noi è obbligatoria, e alla fine, per averci Lui – con i suoi meriti – riaperto le porte che ci erano chiuse. Già Lagrange non concorda con le difficoltà sollevate da Maldonado: “Basta che questa verità e questa vita siano quelle dell’Intermediario che le possiede assolutamente, come suo Padre”. 14 E, infatti, non possono più esserci equivoci o incertezza, perché il Padre è la fonte immutabile, eterna e infinita dell’essere, della vita, dell’amore, della verità, ecc. È verso questo fine ultimo che Si dirige il Figlio dell’Uomo, non per essere consumato, ma per essere glorificato e, così, aprire la via a tutti coloro che di Lui vivranno e nella sua verità crederanno. Nessuno può andare al Padre senza la sua intermediazione. Per questo così commenta Sant’Ilario: “Non può condurci per luoghi traviati Colui che è la Via, né ingannarci con false apparenze Colui che è la Ver ità, né abbandonarci nell’errore della morte Colui che è la Vita”.15
IV – Gesù rivela la sua identità 7 “Se conoscete Me, conoscerete anche il Padre: fin da ora Lo conoscete e Lo avete veduto”. 8 Gli disse Filippo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. 9 Gli rispose Gesù: “Da tanto tempo sono con voi e tu non Mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto Me ha visto il Padre. Come puoi dire: ‘Mostraci il Padre?’ 10 Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in Me? Le parole che io vi dico, non le dico da Me; ma il Padre che è con me compie le sue opere”.
Se gli Apostoli avessero riconosciuto tutta la divinità che c’era nell’Uomo il quale parlava loro, se avessero compreso la sua unica personalità, si sarebbero resi conto dell’unità della natura che Lo legava al Padre. Essi non arrivavano a penetrare il profondo mistero della consustanzialità tra il Figlio e il Padre. È in questo episodio che Gesù li immerge in questa meraviglia inattingibile neppure dalla pura e naturale intelligenza angelica, confidandogli questa rivelazione in piena intimità, allo stesso tempo in cui infonde loro più elevati gradi di fede nella sua divinità e, come conseguenza, pervade le loro anime delle consolazioni da qui risultanti. Lì stava dinanzi a loro il Figlio che, essendo Uomo, possiede due nature: una umana, somigliante a noi ad eccezione della Persona, l’altra divina, per la quale è uguale a suo Padre. Ma, come avrebbero potuto essi dischiudere i densi veli di tale arcano? San Giovanni Crisostomo fa una ponderata riflessione a questo proposito: “‘Se conoscerete la mia sostanza e dignità, conoscerete anche quella di mio Padre’. Dunque, sebbene Lo conoscessero, non era come conveniva, fino a che, con la venuta dello Spirito Santo, Lo conobbero in una maniera perfetta. Per questa ragione, continua: ‘E da questo momento lo conoscete (si riferisce alla conoscenza intellettiva), poiché Lo avete visto’ (attraverso Me). Manifesta così che chi Lo vede, vede il Padre. Non Lo hanno visto, però, nella sua pura essenza, ma velata dalla carne”.16
Le domande di Filippo e Tommaso
Filippo possedeva un temperamento e una psicologia molto differenti da quelli di Tommaso. Costui era molto positivo e sospettoso. L’altro dimostrava ingenuità con la sua domanda: “La domanda di Filippo – il quale Gli chiede di mostrare il Padre, pensando che Cristo, avendo fatto tanti miracoli, Lo avrebbe manifestato ora con una meravigliosa teofania, nello stile che si pensava riguardo a Mosè o Isaia, i quali avevano visto Dio – lascia vedere, ancora una volta, la rudezza e l’incomprensione degli Apostoli davanti alla grande illuminazione della Pentecoste”.17
Ci capitano molte volte nell’animo ingenue curiosità analoghe a quelle di Filippo, ci piacerebbe vedere, comprendere e realizzare certe verità della nostra Fede. Non è in questo mondo che otterremo la visione chiara da noi desiderata. Dobbiamo accontentarci delle luci avvolte nella penombra offerta dal nostro credo.
In Gesù, l’Invisibile è diventato visibile
D’altra parte, le domande positive di Tommaso e quelle ingenue di Filippo danno il margine ad un arricchimento del patrimonio della Rivelazione: il mistero dell’unione essenziale e assoluta tra il Figlio e il Padre. Poiché non ci è possibile vedere Dio faccia a faccia, non possiamo conoscerLo se non attraverso le sue opere (cfr. Rm 1, 19-20). L’universo creato ci fa concludere l’esistenza di un potere assoluto, infinitamente superiore a noi. Inoltre, la nostra coscienza ci porta ad immaginare un Dio radicale e giusto contro le nostre debolezze e miserie, permanentemente in lite con noi. È in Gesù Cristo che constatiamo la misericordia, il Dio che perdona, rivela, ama e salva, insomma, il Padre di Bontà. Chi vede Gesù nei suoi atti di infinita benevolenza, vede il Padre; chi si estasia per le sue azioni, adora il Padre; chi come umile pecorella ascolta la sua voce di Pastore, segue il Padre. In Gesù, niente è di ispirazione meramente umana. Tutto in Lui riflette l’eterno e onnisciente pensiero del Padre. Tutti i suoi atti hanno come fonte la perfettissima volontà del Padre. Nella sua natura creata troviamo l’espressione della saggezza, amore e potere infiniti del Padre. In Lui, l’Invisibile ed eterno è diventato visibile.
“Io sono nel Padre e il Padre è in Me”
Di fronte a questo versetto, “in due modi si può conoscere la divinità di Cristo: con le sue parole e dottrine, e con le sue opere, cioè, con i miracoli che faceva. Entrambe le cose, Egli le aveva in comune con il Padre, perché era Questi che parlava per mezzo di Cristo, come per mezzo del suo Verbo; ed anche per mezzo di Lui, come per mezzo del suo potere e del suo braccio, operava e faceva miracoli, secondo l’interpretazione di Leonzio e di Cirillo. Allora, come mai Lui dice che non parla di Se stesso? Agostino e Beda pensano che Cristo si esprima così, già non come uomo, ma come Dio, ed afferma che non parla di Se stesso, perché anche in quanto Dio non è di Se stesso, ma del Padre. Costui, nel comunicarGli la natura, Gli dà anche le parole e le opere. Tuttavia, Cirillo, Leonzio e Teodoro di Mopsuestia intendono che il Salvatore parla come Uomo, come se dicesse: ‘Sebbene vediate Uomo, nel contempo, le parole che dico e le opere che faccio non sono umane, ma divine. Attraverso queste, dunque, dovete conoscere che sono qualcosa di più di un Uomo e vedere in Me il Padre’”. 18
“Il Padre, che è in Me, fa le sue opere”
Già sul versetto seguente il padre Manuel de Tuya ci spiega: “Da questo ‘conoscere’ il Padre e il Figlio ne consegue che devono anche sapere che ‘sono’ uno nell’altro. Come? Si potrebbe pensare per l’unione vitale e ‘immanenziale’ di uno nell’altro, in ragione della persona divina di Cristo, che la Teologia chiama pericoresi o circunsessione. Probabilmente, però, si riferisce al Verbo Incarnato, come Giovanni considera nel Vangelo. Così, il Padre è presente in Lui, indipendentemente da altre presenze, ‘attraverso le opere che Gli concede di fare’. Dice in un testo, che è la migliore interpretazione di questo: ‘Se non volete credere in Me, credete nelle mie opere, affinché sappiate e riconosciate che il Padre sta in Me e Io nel Padre’ (Gv 10, 38; cfr. Gv 14, 20). Il Padre sta in Lui per la comunicazione che Gli fa, e Lui sta nel Padre per la dipendenza che la sua umanità ha rispetto al Padre per realizzare i miracoli e il ‘messaggio’. Infine, le ‘opere’ in Lui realizzate dal Padre, Egli le rimette alla garanzia di questa mutua presenza e della verità che chi Lo vede, vede il Padre”.19
V – “Tutto posso in Colui che mi dà la forza” 11 “CredeteMi: Io sono nel Padre e il Padre è in Me; se non altro, credetelo per le opere stesse. 12 In verità, in verità vi dico: anche chi crede in Me, compirà le opere che Io compio e ne farà di più grandi, perché Io vado al Padre”.
Dirà più tardi Giacomo, nella sua lettera, che la fede senza le opere è morta (cfr. Gc 2, 17). Qui, il Salvatore afferma quanto questa fede da Lui pretesa sarà proficua in realizzazioni divine. Questa virtù crea un legame divino. Lo stesso San Paolo affermerà: “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2, 20), e aggiunge: “Tutto posso in Colui che mi dà la forza” (Fil 4, 13). Andando al Padre al fine di essere glorificato nella sua umanità trionfante, estenderà ai discepoli, che in Lui credono, il potere di fare miracoli che ha ricevuto dal proprio Padre. Se i misteri ci sono difficili da comprendere, le opere parlano da sole e facilitano il nostro credere. Che questo dono concesso dal Salvatore ai suoi fedeli servitori non li inorgoglisca, come avverte Sant’Agostino: “Non si elevi il servo sopra il Signore, né il discepolo sopra il Maestro. Dice che i discepoli faranno opere maggiori rispetto a Lui, ma si intende che è Lui colui che opera nei discepoli o per mezzo di essi, e non i discepoli per se stessi. A Lui si innalza la lode: ‘O Signore che sei la mia forza, fa’ che io Ti ami’. Quali sono infine queste opere maggiori? Sarà perché, al loro passaggio, la loro ombra curava i malati? Era infatti opera più mirabile guarire un malato con l’ombra che con l’orlo del vestito. Questo lo ha fatto per Se stesso, quello, per mezzo dei discepoli. Ma tutte e due le ha fatto Lui”.20 1) Cfr. LAGRANGE, OP, Marie-Joseph. Évangile selon Saint Jean. 6.ed. Paris: Lecoffre – J. Gabalda, 1936, p.372. 2) MALDONADO, SJ, Juan de. Comentarios a los Cuatro Evangelios. Evangelio de San Juan. Madrid: BAC, 1954, v.III, p.782. 3) LAGRANGE, op. cit., p.372. 4) TUYA, OP, Manuel de. Biblia Comentada. Evangelios. Madrid: BAC, 1964, v.V, p.1228; nota 1. 5) SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, apud SAN TOMMASO D’AQUINO. Catena Aurea. In Ioannem, c.XIV, v.1-4. 6) MALDONADO, op. cit., p.784. 7) Cfr. LAGRANGE, op. cit., p.372-373. 8) SAN GREGORIO MAGNO, apud SAN TOMMASO D’AQUINO, op. cit. 9) SANT’AGOSTINO, apud SAN TOMMASO D’AQUINO, op. cit. 10) TUYA, op. cit, p.1229. 11) MALDONADO, op. cit., p.786. 12) TUYA, op. cit., p.1230. 13) Cfr. MALDONADO, op. cit., p.787. 14) LAGRANGE, op. cit., p.375. 15) SANT’ILARIO DI POITIERS, apud SAN TOMMASO D’AQUINO, op. cit.,v.5-7. 16) SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, apud SAN TOMMASO D’AQUINO, op. cit., v.5-7. 17) TUYA, op. cit., p.1231. 18) MALDONADO, op. cit., p.793. 19) TUYA, op. cit, p.1231. 20) SANT’AGOSTINO. In Ioannis Evangelium. Tractatus LXXI, n.3. In: Obras. 2.ed. Madrid: BAC, 1965, v.XIV, p.325-326.
Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” di Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.
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