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I Domenica di Quaresima – Anno B.


Tentazione di Cristo

Vangelo


In quel tempo, 12 lo Spirito sospinse Gesù nel deserto 13 e vi rimase quaranta giorni, tentato da satana; stava con le fiere e gli Angeli lo servivano. 14 Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il Vangelo di Dio e diceva: 15 “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo!” (Mc 1, 12-15).


“Convertitevi e credete al Vangelo”


Adeguare il nostro pensiero, i nostri desideri, azioni e sentimenti sulla base di quelli del Signore Gesù è l’unico modo per corrispondere degnamente all’amore che Dio manifesta per ognuno di noi.


I – Un amore portato al limite estremo


È insondabile l’amore che il Creatore elargisce verso ognuno di noi in particolare. Per questo, a volte, ci confonde la considerazione di tutti i benefici che da Lui riceviamo.


Potendo semplicemente permanere nella sua piena ed eterna felicità, Dio ha voluto creare l’universo, con l’obiettivo di manifestare la sua infinita bontà: “Dio ha creato per bontà, non aveva bisogno di niente di ciò che ha fatto”1 – insegna Sant’Agostino.


A tutti gli uomini e donne, Egli ha dato l’essere, scegliendoli uno ad uno tra le infinite creature razionali che avrebbe potuto creare. Inoltre, li ha redenti dal peccato, li sostiene e favorisce con i suoi doni, nelle più svariate circostanze. Ma, soprattutto, dà loro l’opportunità di partecipare alla sua vita divina già su questa Terra, come primizia della felicità infinita che è loro riservata in Cielo, nell’ineffabile comunione con la Santissima Trinità.


Dio si allea con gli uomini


In contropartita a tanta bontà, si ripete invariabilmente una costante nel comportamento degli uomini: in un determinato momento, essi deviano dal cammino tracciato dal Creatore; la Provvidenza, allora, interviene al fine di evitare la loro perdizione, offrendo loro i mezzi necessari per la salvezza. Così, quando Adamo ed Eva hanno commesso il primo peccato, Dio li ha castigati con l’espulsione dal Paradiso, ma ha fatto nello stesso tempo un’Alleanza con il genere umano, promettendogli la Redenzione e il ripristino dello stato di grazia perduto.


Tuttavia, gli uomini non hanno tardato a ricadere nel peccato. Subito dopo che i nostri progenitori hanno cominciato a popolare l’orbe con la loro discendenza, il Signore ha constatato “che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male” (Gen 6, 5). Pentito, allora, di aver creato il genere umano, il Signore lo avrebbe estirpato del tutto dalla faccia della Terra se Noè non avesse trovato grazia davanti ai Suoi occhi (cfr. Gen 6, 6-8).


Come narra la prima lettura di questa domenica (Gen 9, 8-15), terminato il terribile castigo del diluvio, Dio ha benedetto Noè e i suoi figli e ha stabilito con loro e con la loro discendenza un’Alleanza che “resta in vigore per tutto il tempo delle nazioni, fino alla proclamazione universale del Vangelo”.2


Questa sarà più tardi rinnovata con Abramo, a cui dice Dio: “in te si diranno benedette tutte le famiglie della Terra” (Gen 12, 3); attraverso la Legge di Mosè, nel Sinai (cfr. Es 19, 5-6) o nella promessa messianica fatta a Davide (cfr. II Sm 7, 16), per citare solo alcuni dei principali episodi dell’Antico Testamento.


Cristo, auge della storia della Salvezza


Passano i secoli e l’umanità raggiunge un auge di decadenza che segna simultaneamente la fine dell’Antico Testamento e la “pienezza del tempo” di cui ci parla l’Apostolo (Gal 4, 4). Gesù compie in maniera sovrabbondante le promesse fatte ai patriarchi e ai profeti, assumendo anche la natura umana senza smettere di essere Dio. Culmina, così, con una perfezione tutta divina, la Storia della Salvezza.


L’Incarnazione del Verbo è un mistero che oltrepassa completamente la nostra capacità intellettiva. Per tentare di comprenderlo in qualche misura, immaginiamo un Angelo che ci proponga di assumere la natura di un lombrico, senza lasciare la condizione umana, con la missione di salvare dalla morte tutti i lombrichi del mondo. Quale sarebbe la nostra risposta?


Ora, la differenza tra un uomo e un lombrico è insondabilmente minore di quella esistente tra Dio e le creature razionali. Nel primo caso, c’è una sproporzione enorme; nel secondo, neppure si può parlare di sproporzione, perché la distanza è infinita. Ma, la Seconda Persona della Santissima Trinità ha assunto la natura umana per salvarci, manifestando per noi un amore straordinario, che eccede ogni misura.


Da una “pazzia” d’amore nasce la Santa Chiesa


In cima al Calvario, la bontà e la misericordia del Verbo Incarnato per i peccatori sono portate, per così dire, fino alla “pazzia” (I Cor 1, 18). San Pietro ci ricorda, nella seconda lettura (I Pt 3, 1822) di questa domenica, che “Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito. E in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione; essi avevano un tempo rifiutato di credere quando la magnanimità di Dio pazientava nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l’arca” (I Pt 3, 18-20a).


Nell’Alleanza stabilita da Dio con l’umanità dopo il diluvio, Egli ha promesso di non castigare più la Terra per mezzo delle acque (cfr. Gen 9, 11). Ora, si potrebbe dire a ragione che la storia della Salvezza culmina in un “diluvio di sangue”,3 secondo l’espressiva formula di San Luigi Maria Grignion de Montfort. Perché – se non bastassero la flagellazione, l’incoronazione di spine e tutte le sofferenze nel cammino del Calvario – Egli ha permesso che, sulla Croce, una lancia Gli perforasse il petto sacro.


Si sono versate in quell’ora le ultime gocce di Sangue e linfa che ancora restavano nel suo Sacratissimo Cuore. È nato così il Corpo Mistico di cui Cristo è il Capo. “Nel Calvario, Egli compie la sua immolazione e fa nascere, nelle più orrende torture fisiche e morali, la Chiesa che aveva così laboriosamente preparato e istituito. […] È, dunque, la Chiesa che, secondo la dottrina dei Padri, esce dal costato aperto del Salvatore e, per così dire, è data alla luce da Lui”.4


Nello stesso senso commenta San Giovanni Crisostomo: “Quel Sangue e quell’acqua sono simboli del Battesimo e dei misteri. Dall’uno e dall’altra nasce la Chiesa, ‘mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo’ (Tt 3, 5), col Battesimo e coi misteri”.5 Il Concilio Vaticano II afferma che l’inizio e la crescita della Chiesa sono “significati dal Sangue e dall’acqua che uscirono dal costato aperto di Gesù crocifisso”6. Anche Sant’Agostino dice che “dal costato di Cristo dormiente, cioè, morto nella Passione, trafitto dalla lancia mentre era ancora nella croce, scaturirono i sacramenti, con i quali viene formata la Chiesa”.7



Deposizione dalla Croce, del Beato Angelico – Museo di San Marco, Firenze

II – Il prologo della predicazione della Buona Novella


Il Vangelo di questa prima domenica ci riporta al momento nel quale Cristo Si preparava ad iniziare la sua missione di predicare la Buona Novella. Uscendo dalle acque del Giordano, subito dopo esser stato battezzato dal Precursore, il Cielo si aprì, lo Spirito Santo scese su di Lui in forma di colomba e si udì una voce proveniente dall’alto: “Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto (Lc 3, 22).


In quell’istante, commenta Benedetto XVI,8 si è verificata una sorta di investitura dell’incarico messianico del Figlio dell’Uomo. In quell’ora gli sono state formalmente conferite, per la Storia e al cospetto di Israele, la dignità regale e quella sacerdotale. A partire da questo momento la vita di Gesù è stata subordinata alla missione per la quale Egli doveva incarnarSi.


Il raccoglimento precede l’azione


In quel tempo, 12 lo Spirito sospinse Gesù nel deserto.


Dopo il Battesimo, la prima disposizione dello Spirito Santo è stata quella di condurre Gesù nel deserto, dove Egli è rimasto quaranta giorni in regime di penitenza, isolamento e preghiera.


Il Divino Maestro ci mostra così che, prima di lanciarsi in sante e grandi imprese, è indispensabile prepararsi con la preghiera e la contemplazione, poiché la vita interiore è l’anima di ogni azione missionaria. Se lo stesso Dio fatto uomo ha dato questo sublime esempio, quale lezione ne devono trarre tutti coloro che, ai nostri giorni, consacrano la vita all’apostolato?


Forze sovrabbondanti per quelli che dovrebbero seguirLo


13a …e vi rimase per quaranta giorni…


Preghiera nell’Orto

Il primo dei sinottici specifica che Gesù digiunò per “quaranta giorni e quaranta notti” (Mt 4, 2). Non è da pensare, tuttavia, che questo digiuno di Gesù fosse “l’ordinario digiuno giudaico rinnovato per quaranta giorni di seguito; il digiuno giudaico obbligava fino al tramonto del Sole, ma al calar della sera si prendeva cibo, […] mentre il digiuno di Gesù è ininterrotto per quaranta giorni e quaranta notti”.9


In questo periodo, il Redentore ha voluto contemplare il panorama completo della sua missione e come la Santa Chiesa avrebbe dovuto mantenere gli effetti della Redenzione fino alla fine dei tempi, attraverso i Sacramenti.


Un mero atto della volontà divina sarebbe bastato per la fondazione della Chiesa ma durante la sua peregrinazione terrena, il Figlio dell’Uomo voleva conquistare forze sovrabbondanti per quanti avrebbero dovuto seguirLo fino alla fine dei tempi. Per questo Egli non ha mangiato né bevuto nulla in questi quaranta giorni. È vissuto sostenuto dall’azione angelica e da una forza soprannaturale che non Gli impediva, però, di sentire fame e sete. Si evidenzia così, ancora una volta, fino a che estremi d’amore Egli era disposto ad arrivare, per la nostra salvezza.


Il Capo ottiene la vittoria per tutto il Corpo


13b …tentato da satana…


Cristo era Dio e, in quanto tale, non è andato nel deserto per prepararSi nella solitudine alla lotta che stava per giungere, quanto per iniziarla. Lungi dal cercar rifugio contro il male, cominciava la sua vita pubblica affrontando e vincendo gli attacchi del nemico.


Intanto, il demonio non aveva ancora coscienza della divinità di Gesù. RitenendoLo in grado di peccare, ha voluto in tutti i modi indurLo a commettere diverse colpe. Che egli abbia tentato il Figlio di Dio nei quaranta giorni e quaranta notti, come sembra ricavarsi da questo versetto di San Marco e secondo l’opinione di San Beda?10 O che abbia atteso fino alla fine del digiuno per tentarLo, come invece afferma San Tommaso?11


Il problema non ci sembra particolarmente rilevante di fronte al fatto che il Divino Maestro abbia voluto assumere su di Sé le nostre tentazioni per vincerle.12 Con la sconfitta inflitta al demonio nel deserto, Cristo, Capo del Corpo Mistico, ha ottenuto la vittoria per tutti i suoi membri, come afferma San Gregorio Magno: “Non era indegno del nostro Redentore voler esser tentato, Egli che è venuto per esser ucciso; anzi, Egli ha voluto vincere, con le sue, le nostre tentazioni, così come ha vinto con la sua la nostra morte”.13


“Non ci indurre in tentazione”


Vetrata che rappresenta le tentazioni di Cristo (dettaglio) – Cattedrale di Gloucester (Inghilterra)

Ora, ancora secondo San Tommaso,14 non è questa l’unica ragione per la quale Cristo ha voluto esser tentato; egli ne aggiunge altre tre: perché nessuno, per quanto santo sia, si senta sicuro e immune dalla tentazione; per mostrarci come vincere le tentazioni; per incuterci la fiducia nella sua misericordia.


Per questo, insegna lo stesso Dottor Angelico: “Si deve notare che Cristo non ci insegna a chiedere di non esser tentati, ma di non cadere in tentazione. Infatti se l’uomo vince la tentazione, merita la corona”.15 Dio permette al demonio di operare, permette che le cattive inclinazioni della nostra natura decaduta ci tormentino, per poter in questa forma ottenere meriti.


Osserva, a questo proposito, padre Royo Marín: “Numerosi sono i vantaggi di vincere la tentazione, con la grazia e l’aiuto di Dio. Perché umilia satana; fa risplendere la gloria di Dio; purifica la nostra anima, riempiendoci di umiltà, pentimento e fiducia nell’aiuto divino; ci obbliga a esser sempre vigili e in allerta, a diffidare di noi stessi, sperando tutto da Dio, a mortificare i nostri gusti e capricci; stimola alla preghiera; aumenta la nostra esperienza e ci rende più circospetti e cauti nella lotta contro i nostri nemici”.16


Proprio come non si può premiare un corridore che non è neppure uscito dal letto o un intellettuale che non ha scritto né detto niente, lo stesso anche nella vita spirituale: per ricevere la ricompensa nell’eternità, abbiamo bisogno di esser messi alla prova in questa vita.


Nulla rallegra tanto il nostro nemico quanto lo scoraggiamento


Vetrata che rappresenta le tentazioni di Cristo (dettaglio) – Cattedrale di Gloucester (Inghilterra)

Pertanto, la tentazione non ci deve intristire, poiché rappresenta il momento dell’eroismo e della gioia: è quando mostriamo il nostro amore a Dio. Cristo ci ha dato l’esempio! In questi quaranta giorni di preghiere e patimenti nel deserto, Egli ha conquistato le grazie necessarie alla nostra perseveranza, incluse le grazie specifiche affinché facciamo bene gli esercizi quaresimali, preparatori alla Pasqua. Anche se soccombiamo di fronte a qualche tentazione, Egli ci ha ottenuto forze per alzarci e proseguire sulla via della santificazione.


Così, quando arriva la tentazione, non possiamo tollerare nessuno scoraggiamento, poiché chi resiste e chi ha già vinto è Cristo, Capo del Corpo Mistico del quale siamo membri.


Il demonio, quando ci tenta, ha per obiettivo principale toglierci il coraggio, perché, se ottiene questo, ci prenderà nelle sue grinfie. Il coraggio, al contrario, ci mantiene nelle mani di Dio e della Madonna.


“Ciò che rallegra il nemico non sono tanto le nostre colpe quanto l’abbattimento e la perdita di fiducia nella misericordia divina in cui esse ci immergono”.17 Per questo ci ammonisce San Francesco di Sales, in una lettera ad una figlia spirituale: “La sfiducia che sentite di voi stessi è buona, purché serva da fondamento alla fiducia che dovete avere in Dio; ma se essa vi conduce a qualche scoraggiamento, inquietudine, dispiacere e malinconia, vi supplico di respingerla come la tentazione delle tentazioni e di non concedere mai al vostro spirito l’opportunità di disputare e replicare a favore dell’inquietudine e dell’abbattimento del cuore a cui vi sentireste inclini”.18


Le fiere del deserto e gli animali del Paradiso


13c …stava con le fiere…


Basandosi sui Padri della Chiesa, commentatori come Fillion e Maldonado o lo stesso San Tommaso,19 pensano che San Marco abbia fatto questa affermazione per sottolineare, con la vivacità propria del discepolo di San Pietro, il carattere selvaggio della regione dove Gesù Si è ritirato e accentuare la completa solitudine nella quale Egli ha trascorso questi quaranta giorni e quaranta notti. San Giovanni Crisostomo20 commenta che San Marco avrebbe detto questo per mostrare com’era il deserto; in esso non c’era cammino per gli uomini ed era pieno di animali feroci Ma queste parole possono essere analizzate anche in un senso più profondo.


In quel tempo, non mancavano nelle prossimità del Giordano iene, sciacalli, leopardi e cinghiali, come informa, tra gli altri, il menzionato Fillion.21 Ora, se nel Paradiso tutti gli animali obbedivano ad Adamo in tutto e per tutto, in quel deserto essi si spingevano sugli uomini, intimorendoli e obbligandoli a fuggire.


Avrebbe voluto il Divino Maestro sopportare anche questa debolezza dell’umanità decaduta? Se Egli ha voluto sperimenta re il timore provocato dalla presenza delle fiere, è certo che lo ha vinto in forma grandiosa, ottenendoci così altre forze ancora per superare le avversità, i drammi e le complicazioni che la vita ci presenta.


Nostro Signore mentre digiuna – Collezione privata, New York

Servito come Dio dal ministero degli Angeli


13d …e gli Angeli Lo servivano.


Misteriosa e piena di significato è anche la presenza degli Angeli.


Si saranno allontanati dal loro Signore fino alla fine delle tentazioni, come porta a pensare il racconto degli altri sinottici, o saranno rimasti a servirLo e a sostenere la sua vita terrena durante questi quaranta giorni e quaranta notti in cui non ha mangiato né bevuto nulla?


Nulla impedisce, secondo noi, immaginare la corte celeste che scende fino al deserto e ritorna al Cielo durante tutto questo periodo, per assistere la natura umana del suo Creatore. Al contrario, a questo invita il commento di San Beda: “Si consideri anche che Cristo dimora tra le fiere come uomo, ed è servito dal ministero angelico come Dio”.22


“Convertitevi e credete al Vangelo”


14 Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il Vangelo di Dio e diceva: 15 “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo!”


Dopo questa sublime preparazione, tutto era pronto negli orologi della Storia per la comparsa del Salvatore nello scenario della vita pubblica di Israele. Terminato il suo ritiro e vinte le tentazioni, Egli va a dedicarSi ardentemente al compimento della sua missione. Mancava solo il segnale indicato dalla Sapienza divina per l’inizio della predicazione della Buona Novella: la prigionia di Giovanni Battista.


Con essa inizia il tramonto dell’Antico Testamento. Ma senza dare opportunità all’arrivo della notte, spunta l’aurora di una nuova era, più radiosa, illuminata dal vero Sole della Salvezza. “Il tempo si è ormai consumato, il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo”. Con queste parole il Divino Maestro apre la sua predicazione, evocando i termini con cui il Precursore aveva annunciato il suo arrivo (cfr. Mt 3, 1-2).


Nella Liturgia di questa domenica, la Chiesa vuole trasmetterci un messaggio: Dio ci ama e desidera perdonarci. Egli è disposto a riconciliarSi con noi, facendo un’Alleanza incrollabile, ma è necessario ravvivare la Fede e cambiare vita, come ci esorta Gesù: “Convertitevi e credete al Vangelo”.


III – Come corrispondere a questo amore?


Per quanto concerne questa conversione, è necessario cautelarci da un pericoloso errore.


Nella nostra vita spirituale, ci manca molte volte la convinzione della necessità di essere santi. Non raramente cerchiamo di essere semplicemente corretti, dimenticando il richiamo del Concilio Vaticano II tante volte ripetuto: “Gesù, maestro e modello divino di ogni perfezione, a tutti e a ciascuno dei suoi discepoli di qualsiasi condizione ha predicato quella santità di vita, di cui egli stesso è autore e perfezionatore: ‘Siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste’ (Mt 5, 48)”.23


“Gravissimo errore commette” – insegna Sant’Alfonso Maria de’ Liguori – “chi sostiene che Dio non esige da tutti noi di essere santi, poiché San Paolo afferma: ‘Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione’ (I Ts 4, 3). Egli vuole che tutti noi siamo santi, ognuno conformemente al suo stato: il religioso come religioso, il laico come laico, il sacerdote come sacerdote, il coniuge come coniuge, il commerciante come commerciante, il soldato come soldato, e lo stesso si dica di tutti gli altri stati e condizioni di vita”.24


Progredire nell’amore e nella conoscenza


Per il compimento di questo obbligo, la Chiesa ci orienta maternamente attraverso la Liturgia di oggi. Già la Preghiera Colletta ci indica in certo modo il cammino: “O Dio, nostro Padre, con la celebrazione di questa Quaresima, segno sacramentale della nostra conversione, concedi a noi tuoi fedeli di crescere nella conoscenza del mistero di Cristo e di testimoniarlo con una degna condotta di vita”.25


Infatti, abbiamo bisogno di “crescere nella conoscenza del mistero di Cristo”, perché essendo Lui Dio e Uomo vero, è l’archetipo di tutto l’universo, come afferma San Paolo: “Per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili” (Col 1, 16).


Ma basta conoscere? No. Dice bene San Giovanni della Croce26 che al tramonto di questa vita saremo giudicati secondo l’amore. La più profonda comprensione della dottrina deve servire, soprattutto, per aumentare la carità in noi, in modo che conoscendo meglio l’adorabile Persona di Nostro Signore, abbiamo maggiori possibilità di “testimoniarlo”.


Dio aspetta la nostra conversione


Nulla di questo otterremo, però, senza l’ausilio della grazia. L’uomo non ha forze in se stesso per adeguare stabilmente in conformità a Nostro Signore i suoi pensieri, desideri, azioni e sentimenti. Per rendere effettiva la conversione alla quale Gesù ci invita per mezzo della liturgia di questa domenica, sarà indispensabile congiungere le mani in preghiera e dire, insieme al profeta: “Fammi ritornare e io ritornerò, perché tu sei il Signore mio Dio” (Ger 31, 18).


Questo nostro desiderio di cambiar vita in questo periodo di penitenza quaresimale deve essere, pertanto, pervaso da molta fiducia. Il trionfo di Cristo nel deserto ha ottenuto grazie sovrabbondanti a tutto il suo Corpo Mistico per vincere le tentazioni del de monio. La nostra fortezza è in Gesù e, purché non divorziamo dal Capo, nulla potrà satana contro di noi.


Ma, se facendoci l’esame di coscienza, troviamo una mancanza qui o un’altra lì, non disperiamo: “Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio”. Egli ha conquistato la vittoria sulle nostre colpe per l’eternità. Basta riconoscere la nostra miseria e chiedere perdono.


Come contraccambiare tanta bontà?


Chiediamo con fervore a Maria Santissima la grazia di un’autentica conversione, cioè, la comprensione entusiastica e piena di ammirazione dell’ineffabile amore del suo Divino Figlio verso ognuno di noi, che ci porti a condurre una vita santa, sulla via del Cielo.


Sacro Cuore di Gesù – Cattedrale di Chiquinquirá, Colombia


1) SANT’AGOSTINO. Enarratio in psalmum CXXXIV, n.10. In: Obras. Madrid: BAC, 1967, v.XXII, p.496.


2) CCE 58.


3) SAN LUIGI GRIGNION DE MONTFORT. Prière Embrasée, n.16. In: Œuvres Complètes. Paris: Du Seuil, 1966, p.681.


4) TANQUEREY, Adolphe. La vie de Jésus dans l’Église. Paris: Desclée, 1933, p.59; 61.


5) SAN GIOVANNI CRISOSTOMO. Las catequesis bautismales. 2.ed. Madrid: Ciudad Nueva, 2007, p.149-150.


6) CONCILIO VATICANO II. Lumen gentium, n.3.


7) SANT’AGOSTINO. Enarratio in psalmum CXXXVIII, n.2. In: Obras, op. cit., p.574.


8) Cfr. BENEDETTO XVI. Gesù di Nazaret. Dal Battesimo alla Trasfigurazione. Milano: Rizzoli, 2007, p.47-48. Sobre este mesmo episódio, ver: SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. III, q.39, a.8, ad 3.


9) RICCIOTTI, Giuseppe. Vita di Gesù Cristo. 14.ed. Città del Vaticano: T. Poliglotta Vaticana, 1941, p.313.


10) Cfr. SAN BEDA. In Marci Evangelium Expositio. L.I, c.I: ML 92, 139-140.


11) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO, op. cit., q.41, a.3.


12) Cfr. Idem, a.1.


13) SAN GREGORIO MAGNO. Homiliæ in Evangelia. L.I, hom.16, n.1. In: Obras. Madrid: BAC, 1958, p.597.


14) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO, op. cit., q.41, a.1.


15) SAN TOMMASO D’AQUINO. In Orationem Dominicam, a.6.


16) ROYO MARÍN, OP, Antonio. Nada te turbe, nada te espante. 3.ed. Madrid: Palabra, 1982, p.56-57.


17) TISSOT, Joseph. A arte de aproveitar as próprias faltas. São Paulo: Quadrante, 1925, p.38-39.


18) SAN FRANCESCO DI SALES. Lettre XXXLV. In: Œuvres Complètes. Lettres spirituelles. 2.ed. Paris: Louis Vivès, 1862, t.XI, p.425-426.


19) Cfr. FILLION, Louis-Claude. La Sainte Bible commentée. Paris: Letouzey et Ané, 1912, t.VII, p.201; MALDONADO, SJ, Juan de. Comentarios a los Cuatro Evangelios. Evangelios de San Marcos y San Lucas. Madrid: BAC, v.II, 1951, p.41; SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica.. III, q.41, a.3, ad 2.


20) Cfr. SAN GIOVANNI CRISOSTOMO. Homilía XIII, n.1. In: Obras. Homilías sobre el Evangelio de San Mateo (1-45). 2.ed. Madrid: BAC, 2007, v.I, p.235.


21) Cfr. FILLION, op. cit., p.201


22) SAN BEDA, op. cit., 140.


23) CONCILIO VATICANO II. Lumen gentium, n.40.


24) SANT’ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI. Práctica del amor a Jesucristo. In: Obras Ascéticas. Madrid: BAC, 1952, t.I, p.392.


25) PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA. Preghiera Colletta. MESSALE ROMANO. Riformato a norma dei decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II e promulgato dal Papa Paolo VI. Città del Vaticano: L. E. Vaticana, 1983, p.72.


26) Cfr. SAN GIOVANNI DELLA CROCE. Dichos de Luz y Amor, n.57. In: Obras Completas. Madrid: Espiritualidad, 1957, p.63.


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