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XXX Domenica del Tempo Ordinario – Anno A


Dio Padre

Vangelo


In quel tempo, 34 i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35 e uno di loro , un dottore della Legge, lo interrogò per metterLo alla prova: 36 “Maestro, qual è il più grande Comandamento della Legge?” 37 Gli rispose: “‘Ame rai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente’. 38 Questo è il più g rande e il primo dei Comandamenti. 39 Il secondo è simile al primo: ‘Amerai il prossimo tuo come te stesso’. 40 Da questi due Comandamen ti dipendono tutta la Legge e i Profeti” (Mt 22, 34-40).


La sapienza umana contro la Sapienza divina!


La domanda presentata dal fariseo a Gesù è frutto della sapienza umana ed è diretta a colui che è colmo di Sapienza divina. Il dottore della Legge però non pone tale domanda per conoscere la verità, ma per provocarLo. La risposta di Gesù è semplice e allo stesso tempo grandiosa: l’amore a Dio!


I – La virtù dell’amore


I fondamenti dell’amore sono molto più profonde di quanto generalmente si immagini. L’amore – come afferma Sant’Agostino1 – trascina come un peso coloro che si amano e produce un forte desiderio di presenza e di unione, trovando la sua espressione più significativa nell’abbraccio tra coloro che si amano.


Tutto ciò che è frutto della creazione trova la sua fonte nell’onnipotenza divina, incluso l’amore, il cui principio è eterno e procede dal Padre e dal Figlio. Entrambi, amandoSi, originano questa tendenza con una forza tanto straordinaria da cui procede una Terza Persona. Come l’amore produce in noi un’inclinazione all’essere amato, Padre e Figlio, esseri infinitamente amabili, amano il Loro proprio Essere Divino. In ciò risiede l’origine dell’Amore, in quanto Persona proveniente dall’unione tra Padre e Figlio.


La Genesi, nel narrare la grande opera della Creazione, descrive come Dio contemplava la realizzazione di ciascun giorno e attribuiva un valore rispettivo all’opera da Lui creata, poiché il grado di perfezione di ogni essere è infuso sempre dal suo amore ed in proporzione di questo.


La virtù più importante per la salvezza


Nel Vangelo, si verifica quanto il Figlio di Dio lodi la fede del centurione (cfr. Lc 7, 9) e della cananea (cfr. Mt 15, 28), a cui fece anche dei miracoli. Più avanti, Gesù esalta la fede di Pietro, dichiarandola procedente da una rivelazione fatta dal Padre, e lo proclama beato (cfr. Mt 16, 17). Parlandoci dell’amore Gesù ci spiega, inoltre, come tale virtù sia, di per sé, capace di perdonare un enorme numero di peccati. Ciò appare evidente quando arriva a difendere pubblicamente una peccatrice da coloro che l’accusavano: “Poiché ha molto amato” (Lc 7, 47). Ora, non ci possiamo dimenticare di come il Signore conosce il valore e il premio di ogni atto di virtù. Dobbiamo, pertanto, di fronte alla salvezza eterna, comprendere quanto sia più importante amare che praticare la fede.


Gesù, supremo modello di amore


Per raggiungere questa virtù nel suo più alto grado di perfezione è indispensabile ammirarla in Cristo Gesù e imitarLo.


L’amore del Figlio di Dio, infatti, è veramente speciale, in quanto soprannaturale ed ha per oggetto l’Essere Supremo. C’è, però, una notevole differenza tra Lui e noi. Nel Verbo Incarnato, l’amore divino e quello umano, per l’unione ipostatica, si congiungono in una sola Persona. Quanto a noi, “l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo” (Rm 5, 5), ossia, esso ci è stato donato ma per poterlo ottenere, dobbiamo chiederlo. Nonostante questa differenza, Gesù è, e resta, il nostro insuperabile modello, poiché è impossibile trovare in Lui una volontà diversa da quella del Padre e, nella medesima direzione deve essere orientato il nostro amore. Tuttavia, sebbene in Gesù non ci sia mai stata fede – poiché, dal primo istante della sua esistenza, la Sua anima si è trovata nella visione beatifica – in noi, questa virtù deve esser sempre accompagnata da un caloroso amore, il più somigliante possibile a quello di Gesù.


La fede del cristiano e la fede dei demoni


San Pietro

Commentando la Prima Lettera di San Giovanni, così si esprime Sant’Agostino: “‘Anche i demoni lo credono e tremano’ (Gc 2, 19), come dice la Scrittura. Che cosa hanno potuto i demoni credere in quello que credevi? Dicono: ‘Io so chi tu sei: il santo di Dio’ (Mc 1, 24). Quello che hanno detto i demoni, lo ha detto anche Pietro. […] Così, infatti, dice Pietro: ‘Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente’. Dicono anche i demoni: ‘Sappiamo che sei il Figlio di Dio ed il Santo di Dio’. Com’ è evidente, Pietro, pur usando le medesime parole utilizzate dai demoni, attribuisce alle stesse un senso profondamente diverso.


“E come facciamo a dire che Pietro diceva questo per amore? Perché la fede del cristiano è sempre accompagnata da amore, mentre la fede del demonio non ha amore. In che modo è senza amore? Pietro diceva questo per abbracciare Cristo, mentre i demoni lo dicevano affinché Cristo si allontanasse da loro. Perché prima di dire ‘sappiamo chi sei tu, il Figlio di Dio’, avevano detto: ‘Che c’entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci?’. Appare ben evidente che riconoscere Cristo con l’intenzione di abbracciarLo, è ben diverso dal riconoscere Cristo col proposito di allontanarLo da sé. “Dunque, è chiaro che quando, in questo passo, Giovanni dice: ‘Colui che crede’, intende riferirsi ad una fede peculiare, autentica e profondamente sentita, non ad una fede grossolana. Vi riferisco l’esempio dei demoni, cari fratelli, perché nessun eretico venga a dirci: ‘Anche noi crediamo’. Non vi rallegriate per le parole di quelli che credono, ma esaminiate le opere di quelli che vivono”.2


Colui che ama il Padre, ama il Figlio


Il grande Vescovo di Ippona conferisce una così grande importanza al fatto che alla fede si unisca l’amore, che non ha timore di fare commenti in proposito, portando le sue affermazioni al punto, forse, di provocare e scuotere anche le mentalità più relativiste dei nostri giorni: “‘E chiunque ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato’. Ha unito in seguito l’amore con la fede, poiché la fede senza amore è vana. Con amore, è la fede del cristiano; senza amore, la fede del demonio. Ora, coloro che non credono sono peggiori dei demoni, più induriti degli stessi demoni. Si trova in giro qualcuno che non vuole credere in Cristo: questo qualcuno non imita neppure i demoni. Ci sono altri, tuttavia che non credono in Cristo, ma Lo odiano… Sono come i demoni, che temevano di essere castigati. Aggiungi a questa fede l’amore, al fine che si converta in quella fede di cui parla l’Apostolo: ‘La fede che opera per mezzo della carità’ (Gal 5, 6). Se hai incontrato questa fede, hai incontrato un cristiano, hai incontrato un cittadino di Gerusalemme, hai incontrato un pellegrino che sospira per il cammino, unisciti a lui, sia egli un tuo compagno, corri insieme a lui. ‘Chiunque ama colui che ha generato, ama anche chi da Lui è stato generato’. Chi ha generato? Il Padre. Chi è stato generato? Il Figlio. Pertanto, che cosa dice Giovanni? Chiunque ama il Padre, ama il Figlio”.3


Nell’amore troviamo la tanto agognata felicità


Tante sono le considerazioni circa la virtù dell’amore, che non può esserci enciclopedia capace di abbracciare i tesori emanati dall’oratoria e dagli scritti dei Santi, Padri, Dottori, teologi e esegeti al riguardo.


Alla luce di una visione dell’amore così prospettata, dobbiamo esaminare la tematica della Liturgia di questa 30ª Domenica del Tempo Ordinario, nelle sue tre letture. In questa virtù, infatti, risiede la tanto agognata felicità, come ci insegna San Tommaso d’Aquino: “In quanto amore verso Dio, ci fa disprezzare le cose terrene e unirci a Lui. Per questo allontana da noi il dolore e la tristezza, e ci dà la gioia del divino: ‘il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace’ (Gal 5, 22)”.4 E a ragione, poiché Lui è il dulcis Hospes animæ, l’Amico per eccellenza che abita in tutte le anime in stato di grazia.


II – L’Amore è la pienezza della Legge


Trame dei farisei contro Gesù


In quel tempo,34 i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35 e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterLo alla prova: 36 “Maestro, qual è il più grande Comandamento della Legge?”


Il Vangelo di oggi si inserisce in una concatenazione di fatti che inizia con la predicazione di Gesù per mezzo della parabola dei vignaioli omicidi (cfr. Mt 21, 33-43) che ha portato gli avversari di Cristo – nella loro totalità, secondo San Marco, o soltanto i farisei, secondo San Matteo – ad esacerbarsi di collera, in quanto la interpretarono come diretta a loro (cfr. Mt 21, 45) tanto che, per questa ragione, si riunirono in consiglio (cfr. Mt 22, 15). Su questa linea di avvenimenti, San Marco è molto esplicito nell’affermare: “Allora cercarono di catturarLo, ma ebbero paura della folla; […] E, lasciatoLo, se ne andarono. Gli mandarono però alcuni farisei ed erodiani per coglierlo in fallo nel discorso” (Mc 12, 12-13).


In realtà, si era creato un vero impasse. Da un lato, vi era un gran numero di persone semplici del popolo, avvinte dalle parole e dai miracoli di Gesù e che, per questo, non Lo abbandonavano; dall’altro, i capi che desideravano ridurLo al silenzio in vita, o, causarGli la morte. Diventava impossibile per questi eseguire un tale crimine fintanto che Egli fosse attorniato dalle moltitudini. Anche la notte non facilitava loro il compito, poiché il Divino Maestro abbracciava l’isolamento senza che nessuno sapesse dove Si ritirava. Diventava, pertanto, indispensabile per questi figli di Belial manovrare l’opinione pubblica al fine di separare gli entusiasti da Colui che giudicavano essere Giovanni Battista resuscitato, o magari Elia, o un grande profeta.


La domanda del dottore della Legge


Cristo discute con i farisei

Appartiene a questa sequenza di attacchi la famosa risposta di Gesù: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt 22, 21), come anche la spiegazione sapienziale con la quale aveva messo a tacere i sadducei (cfr. Mt 22, 2932), confondendoli sulla grossolana questione relativa alla resurrezione dei morti. E sulla rotta di questa polemica che si aggiunge la domanda del tal dottore della Legge.


Non è interamente chiaro se quest’uomo proponga questa questione al Maestro per autentica curiosità o per desiderio di apparire un sapiente, o addirittura per far parte del complotto contro di Lui. I tre sinottici riferiscono l’episodio nella sua integrità. San Matteo opta per l’ipotesi che lui era complice e malizioso. San Marco lo vede come un uomo sincero, per il fatto che Nostro Signore aveva affermato che lui non era lontano dal Regno dei Cieli (cfr. Mc 12, 34). Non sarebbe impropria, pertanto, la supposizione di sommare tutte queste interpretazioni, poiché era possibile che si trattasse di un fariseo di buona fede, manipolato dalla cattiveria degli altri farisei, al fine di scagliarlo contro il Messia, per collocarLo in una situazione difficile.


Sul personaggio in questione, il famoso Maldonado così si esprime: “Luca ci dice che, quando Cristo finì per confutare i sadducei, uno scriba esclamò: ‘Maestro, hai parlato bene’. Aggiunge l’Evangelista: ‘E non osavano più fargli alcuna domanda’ (Lc 20, 39-40). Questo deve essere inteso in relazione ai sadducei, poiché proprio per questa risposta, come indica Matteo, gli scribi e i farisei colsero l’occasione di tentarLo di nuovo, per mostrarsi più sapienti dei sadducei. Colui che qui Matteo chiama ‘dottore della Legge’, Marco dice che era ‘scriba’ (cfr. Mc 12, 28); da dove si vede che, sebbene gli scribi avessero diversi compiti, in alcune occasioni si poteva essere scriba e fariseo allo stesso tempo. Infatti questo dottore della Legge era fariseo, come si vede dal versetto 34”.5


Anche il Cardinale Isidro Gomá y Tomás, fece la seguente valutazione di questo passo: “I farisei si misero d’accordo quando sentirono dire che Egli aveva ridotto al silenzio i sadducei, chiudendo loro la via a qualsiasi replica, non senza un’intima soddisfazione da parte loro, poiché consideravano i sadducei come i loro più formidabili avversari dottrinari. L’invidia e la malevolenza sono madri dell’audacia spudorata; la sconfitta degli avversari avrebbe dovuto renderli più cauti. Ed uno di loro – dottore della Legge, del partito dei farisei, che aveva udito il dibattito e visto come Nostro Signore aveva risposto bene – fu scelto per proporre a Gesù la questione che avevano tramato nelle loro conventicole. Si avvicinò e Gli fece la domanda, tentandoLo, con cattive intenzioni, sebbene la risposta di Gesù lo abbia impressionato, elogiando Gesù e, a sua volta, arrivando a meritare l’elogio del Signore”.6


Legge umana e Legge divina


Come ci insegna il Dottor Angelico, sappiamo che la legge è “un ordinamento della ragione per il bene comune, promulgato da chi ha la responsabilità della comunità”.7 Evidentemente, questa è una definizione che tiene conto della natura umana nelle sue relazioni sociali. Ma, continua lo stesso San Tommaso, “oltre la legge naturale e la legge umana, è stato necessario, per dare una direzione alla vita umana, avere la Legge divina”.8 E con quattro chiarissimi ragionamenti a favore della sua tesi, il Dottor Angelico dimostra questa necessità in funzione di un fine al quale si ordina l’uomo, che è superiore alla facoltà umana, ossia, la sua beatitudine eterna.


Afferma ancora: “Perché, in ragione dell’incertezza del giudizio umano, principalmente sulle cose contingenti e particolari, è capitato che ci siano stati riguardo i diversi atti umani giudizi diversi, dai quali procedono anche leggi diverse e contrarie. Affinché l’uomo, infatti, possa senza il minimo dubbio conoscere ciò che è opportuno che faccia e ciò che non lo è, è stato necessario che, negli atti stessi, egli fosse diretto da una legge divinamente data, riguardo alla quale consta che non può errare”.9


Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che il Cielo ci illumina il cammino da seguire, ma l’aiuto per abbracciarlo ci viene dalla grazia: “Il principio che muove esteriormente al bene è Dio, che ci istruisce con la Legge e ci aiuta con la grazia”.10 Oggi, con la forza dello Spirito Santo, abbiamo molto esplicita questa dottrina, ma così non si presentava per i dottori della Legge e nemmeno per gli stessi farisei. I rabbini vivevano ingarbugliati in complicate casistiche di 613 precetti. Di questi, 365 – ad immagine dei giorni dell’anno – erano negativi, e 248 – a somiglianza numerica delle ossa del corpo umano – erano positivi. Dei primi, alcuni erano tanto gravi che soltanto potevano essere riparati con la pena capitale, e gli altri, con una penitenza proporzionata. La miriade di altri obblighi minori generava in loro discussioni interminabili nelle loro scuole. Per queste ragioni, non era facile formulare con tutta sicurezza una risposta categorica e chiara su queste questioni, soprattutto se era per non collidere con opinioni soggettive di questi o quei rabbini.


Sapienza di Cristo e insufficienza di quelli che Lo invidiavano


37 Gli rispose: “‘Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente’. 38 Questo è il più grande e il primo dei Comandamenti”.


La domanda che fu diretta a Gesù esce da labbra forse addestrate dalla sapienza umana, per orecchie piene di Sapienza divina. Il dottore della Legge non chiede per conoscere la verità, ma per tentare Dio. Il Vangelo è pervaso da questa polemica tra la sapienza di Cristo e la povera insufficienza di coloro che Lo invidiavano. In un determinato momento, sarà un problema giudaico di tenore religioso-morale, quello dell’adultera colta in flagrante (cfr. Gv 8, 3-11); in un’altra occasione verranno i sadducei con l’episodio dei sette fratelli che si sono sposati successivamente con la vedova del primo di loro (cfr. Mt 22, 23-32); o allora il famoso dilemma del pagamento del tributo (cfr. Mt 22, 1522); e così in avanti.


Sta davanti a loro, però, un Uomo-Dio che penetra il più profondo dei cuori, come lo ha potuto verificare Natanaèle che giunse alla conclusione: “Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il Re di Israele” (Gv 1, 49). Sulla stessa linea, la samaritana, colta di sorpresa dalla conoscenza minuziosa della sua vita, rivelata da Gesù, non esitò a considerarLo un grande profeta (cfr. Gv 4, 19). O allora, Cristo lascia trasparire come sapeva quale fosse il pensiero degli Apostoli quando ardeva nei loro cuori il desiderio di essere i più grandi nel suo Regno (cfr. Lc 9, 46-48). Ed ancora molto di più.


Nel precetto della carità sono comprese le altre virtù


Per questo, la risposta di Gesù è semplice e allo stesso tempo grandiosa: l’amore verso Dio! San Tommaso d’Aquino11 ci insegna che il fine della vita spirituale è l’unione con Dio, la quale diventa effettiva con la carità, ossia, con l’amore verso di Lui. Così, l’intera vita spirituale deve essere sottomessa a questo ultimo fine. Perciò afferma l’Apostolo: “Il fine del richiamo è però la carità, che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera” (I Tm 1, 5).


In vista di questo, tutte le virtù si coniugano per purificare la carità dai mali e dai disordini provenienti dalle cattive inclinazioni. Inoltre, essa aiuta ognuno a procedere con buona coscienza e, in questa forma, agire con fede retta e sincera, nel rapporto con Dio. Pertanto, nel precetto della carità si trovano comprese le altre virtù.12


“Amerai il Signore tuo Dio con tutte le tue forze”


Cristo Pantocratore

Riguardo a questo passo, Maldonado commenta: “Marco dice prima: ‘Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore’ (Mc 12, 29). […] I due Comandamenti sono nello stesso passo, in Mosè. Il primo è che crediamo in un solo Dio; il secondo, che Lo amiamo con tutto il cuore, poiché è chiaro che chi cresce in molti dividerebbe l’amore e non amerebbe nessuno con tutto il suo cuore, perché nessuno può amare due signori (cfr. Mt 6, 24). “Con tutto il cuore e con tutta la tua anima’. Alcuni interpreti fanno qui distinzioni per altro sottili, a mio giudizio. Mi sembra che questo significhi che amiamo Dio quanto possiamo e impieghiamo al suo servizio le nostre capacità. Così lo insegna Sant’Agostino: ‘Dicendo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, non lascia alcuna parte dell’uomo libera e inoperosa per amare altra cosa secondo il suo capriccio: qualunque oggetto che si presenta a noi degno di amore deve essere trascinato dalla corrente del nostro unico affetto’. “Infine, ciò che in diversi passi o con differenti parole si dice nel Deuteronomio (6, 5), qui è riassunto in una sola, consegnata da Luca: ‘Amerai il Signore Dio tuo con tutta la tua forza’ (Lc 10, 27)”.13


Anima e spirito


Mosè

Sembrerebbe, a prima vista, che ci sia una certa ridondanza didattica nella ripetizione – “con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente” – contenuta in questo versetto, secondo la traduzione del testo greco. A questo proposito, alcuni autori ci spiegano la differenza esistente tra anima e spirito e, così, possiamo comprendere la ragione più profonda dell’affermazione di Nostro Signore. “Meglio si deve intendere per ‘anima’ la parte inferiore dell’anima, quella che riguarda la vita naturale. E per ‘spirito’ la parte superiore, quella che considera le cose spirituali e divine. L’anima indica, dunque, la natura dell’anima. Lo spirito, la mente imbevuta della grazia e l’impulso comunicato alla mente dallo Spirito Santo. Pertanto, l’anima è naturale e considera le cose naturali. Lo spirito, le cose soprannaturali e Celesti. Così, dunque, lo spirito significa: in primo luogo, la mente; in secondo luogo, il veemente impulso della mente ed il fervore del godimento e del giubilo; in terzo luogo, il fatto che quest’impulso della mente è comunicato e infuso dallo stesso Spirito Santo”.14


Pertanto, l’“anima”, soggettivamente parlando – in se stessa – è una e semplice. Quello che varia è l’oggetto sul quale essa opererà. Ora, il Divino Maestro ci raccomanda che perfino nella stessa vita naturale facciamo tutto in funzione di Dio che ci ha creato. Quanto allo “spirito”, secondo il linguaggio della Scrittura, è movimento dell’animo, impulso, ecc. E’ in questo senso che potrà esserci un buono o cattivo spirito: “Non sapete di che spirito siete animati” (Lc 9, 55), ha detto Gesù agli Apostoli fratelli, Giovanni e Giacomo, che desideravano, per pura vendetta, far scendere fuoco dal Cielo per consumare le città che gli negavano ospitalità. In loro, non c’era uno spirito soprannaturale, ma uno puramente umano, quello della collera cattiva e della vendetta, contrario allo spirito di Colui che era venuto per salvare e non per perdere.


L’uomo deve vivere solamente per amare Dio


L’espressione “con tutto il tuo cuore” trova una bellissima spiegazione in San Gregorio Magno: “Quello che la morte fa nei sensi del corpo, l’amore lo fa nelle concupiscenze dell’anima. Alcuni amano in tale maniera Dio, che disprezzano quanto è sensibile; mentre nella loro intenzione mirano all’eterno, si fanno insensibili verso tutto quanto è temporale. Infatti in questi, l’amore è forte come la morte; perché, come la morte uccide tutti i sensi esteriori del corpo e lo priva della propria e naturale appetenza, così anche l’amore in tali persone le costringe a disprezzare ogni desiderio terreno, tenendo l’anima occupata in un’altra cosa alla quale risponde. A questi, morti e vivi, diceva l’Apostolo: ‘Voi siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio’ (Col 3, 3)”.15


I due principali Comandamenti


“Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze” (Dt 6, 4-5). Questa era la determinazione di Dio, trasmessa al Popolo Eletto attraverso la voce e la penna di Mosè. I dottori della Legge la conoscevano bene, ossia, era un obbligo religioso che questo amore per Dio penetrasse ogni attività cosciente di quel popolo e, così, fosse considerato come “il massimo e primo Comandamento”, per la sua alta dignità e per pervadere tutta l’attività dell’uomo, soprattutto nel compimento dei suoi doveri ed obblighi verso Dio.


39 “Il secondo è simile al primo: ‘Amerai il prossimo tuo come te stesso’”.


Ossia, dobbiamo avere per il nostro prossimo la stessa benevolenza, stima e amore che ci aspettiamo che gli altri abbiano per noi, e un rispetto proporzionale al disegno di Dio verso ciascuno. Parlare al prossimo, o riguardo a lui, come desideriamo che gli altri facciano con noi; nascondere e scusare le sue mancanze; soffrire per le sue imperfezioni, debolezze e difetti; lodare tutto quanto in lui deve essere elogiato; difendere i suoi interessi e servirlo con affetto, esattamente come desideriamo intensamente che si proceda con noi, e sempre per amore di Dio: ecco la vera pratica dell’innocenza e della santità. Ed è per questo che dice Nostro Signore:


40 “Da questi due Comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”.


La Rivelazione – tra gli altri obiettivi – ha come scopo mettere a disposizione degli uomini un chiaro compendio di dottrina e comportamento di ordine morale, attraverso la Legge e la sapienza manifestata da Dio ai suoi profeti. Ora, il fondamento e la sostanza di tutto questo tesoro sono contenuti in questi due precetti, tale come avrebbe dimostrato più tardi San Paolo, affermando che la finalità della Legge è l’amore e questo amore è il “pieno compimento della Legge” (Rm 13, 10).


III – Maria, insuperabile esempio di amore


Maria Santissima è per tutta l’umanità – persino per gli stessi Angeli – un insuperabile esempio di quell’amore a Dio e al prossimo, che ci è raccomandato dal Suo Divino Figlio, nel Vangelo di oggi. Tutta la sua esistenza fu penetrata da purissimo e ardente amore. Lei, più di qualsiasi altra creatura, visse sempre morta per il mondo e per tutto ciò che non era legato a Dio. La sua vita sempre fu occulta in Dio e, pertanto, di gran lunga più a ragione di San Paolo, Lei avrebbe potuto dire, dal primo istante della Sua creazione: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2, 20).


Che la Madonna del Divino Amore ottenga la pienezza della pratica di questi due precetti per tutti quelli e quelle che contemplano il Vangelo di questa 30ª Domenica del Tempo Ordinario.


Madonna dei Miracoli


1) Cfr. SANT’AGOSTINO. Confessionum. L.XIII, c.9, n.10. In: Obras. 7.ed. Madrid: BAC, 1979, v.II, p.561.


2) SAN’AGOSTINO. In Epistolam Ioannis ad Parthos tractatus decem. Tractatus X, n.1. In: Obras. Madrid: BAC, 1959, v.XVIII, p.346-347.


3) Idem, n.2, p.348.


4) SAN TOMMASO D’AQUINO. Super Ioannem. C.XV, lect.5.


5) MALDONADO, SJ, Juan de. Comentarios a los Cuatro Evangelios. Evangelio de San Mateo. Madrid: BAC, 1950, v.I, p.778.


6) GOMÁ Y TOMÁS, Isidro. El Evangelio explicado. Pasión y Muerte. Resurrección y vida gloriosa de Jesús. Barcelona: Rafael Casulleras, 1930, v.IV, p.63.


7) SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. I-II, q.90, a.4.


8) Idem, q.91, a.4.


9) Idem, ibidem.


10) Idem, q.90, prœm


11) Cfr. Idem, q.2, a.8; q.3, a.1; II-II, q.23, a.4; a.6.


12) Cfr. Idem, q.44, a.1.


13) MALDONADO, op. cit., p.778-779.


14) CORNELIO A LAPIDE. Commentaria in Lucam. C.I, n.47. In: Commentarii in Sacram Scripturam. Leiden: Pelagaud et Lesne, 1839, t.VIII, p.651.


15) SAN GREGORIO MAGNO. Super Cantica Canticorum expositio. C.VIII, v.6,

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