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XXVII Domenica del tempo ordinario – Anno B.


Lo sposalizio della Vergine Maria

Vangelo


In quel tempo, 2 alcuni farisei si avvicinarono e, per metterLo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito ad un marito ripudiare la propria moglie. 3 Ma Egli rispose loro: “Che cosa vi ha ordinato Mosè?” 4 Dissero: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla”. 5 Gesù disse loro: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. 6 Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; 7 per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. 8 Così non sono più due, ma una sola carne. 9 Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”. 10 A casa, i discepoli Lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: 11 “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; 12 e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio”. 13 Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. 14 Gesù, al vedere questo, S’indignò e disse loro: “Lasciate che i bambini vengano a Me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il Regno di Dio. 15 In verità Io vi dico: chi non accoglie il Regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso”. 16 E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro (Mc 10, 2-16).


L’innocenza, l’eterna legge…


Dopo aver restituito al matrimonio la sua originale purezza, il Divino Maestro insegna che l’innocenza deve reggere l’essere umano in qualsiasi stato di vita.


I – L’origine dell’istituzione matrimoniale


La Liturgia della 27ª Domenica del Tempo Ordinario ci presenta, con le parole della Rivelazione, una perfetta sintesi della morale cattolica rispetto al matrimonio. La prima lettura (Gen 2, 18-24), tratta dalla Genesi, spiega chiaramente perché Dio ha creato l’uomo e la donna. Avvalendosi di un espediente letterario di straordinario valore, l’Autore Sacro descrive i fatti in modo poetico e attraente, come se Dio Si stesse gradualmente rendendo conto delle reazioni di Adamo ed agisse di conseguenza.


Dio ha creato Adamo con l’istinto di socievolezza


Creando il primogenito del genere umano, Dio ha posto nella sua anima l’istinto di socievolezza, che si manifesta con la necessità di una compagnia e con un desiderio inestinguibile di amare e di essere amato. Dopo averlo introdotto nel Giardino dell’Eden, Egli disse: “Non è bene che l’uomo sia solo” (Gen 2, 18a), e fece sfilare davanti ad Adamo tutti gli animali – che in Paradiso gli obbedivano1 –, affinché desse loro un nome.


Dio crea gli animali

Dio fece così affinché il primo uomo, estremamente equilibrato, percepisse che, sebbene in possesso di una ricca simbologia, nessuno di essi era capace di colmare la sua aspirazione ad amare, né era alla sua altezza, come creatura razionale. Terminato, dunque, il corteo della fauna creata da Dio, Adamo rimase deluso, perché “non trovò un aiuto che gli corrispondesse” (Gen 2, 20), e si sentì solo.


Una volta giunto a questa conclusione, “Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò” (Gen 2, 21) – poiché era conveniente suscitargli sorpresa – e gli tolse una costola, da cui formò Eva. Avrebbe potuto modellare un’altra figura di argilla, ma preferì trarla da lui, per render chiaro che l’uno era fatto per l’altro. In questo modo, promuoveva tra i due un’unione completa.2


Un trampolino per arrivare a Dio


Svegliatosi e trovandosi di fronte la prima donna, Adamo esclamò: “Questa volta essa è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne” (Gen 2, 23). Lei gli serviva da complemento, era un essere con cui poteva stabilire una relazione che soddisfacesse quel desiderio di amore di cui l’Onnipotente lo aveva dotato, per un’altissima finalità. Destinato a Dio, l’uomo vive alla ricerca di Lui, spinto da un certo “istinto del divino” – correlato intimamente con l’istinto di socievolezza –, che non si sazia per nulla della creazione. Tuttavia, poiché è composto di corpo e anima, ha bisogno di qualcosa di esterno che, attraverso i sensi, gli faciliti la contemplazione interiore e gli serva da elemento di collegamento con Dio, in quanto non Lo vede direttamente.


Il matrimonio mistico di Santa Caterina

Inoltre, era impossibile che la totalità degli attributi divini fosse rappresentata solamente dall’uomo, poiché, per esempio, Dio è fortezza e vigore e, allo stesso tempo, soavità e affetto, estremi che in genere non si adattano al genere maschile. Per questo il Signore ha voluto dargli un “aiuto che gli corrisponda” (Gen 2, 18b) – e non uguale – che, coniugata con lui, lo completasse, riflettendo da Dio gli aspetti contrari, ma armonici. Così – tenendo presente la realizzazione del piano che, fin dall’eternità, Egli aveva architettato per l’umanità –, uomo e donna avrebbero dovuto essere “un’unica carne” (Gen 2, 24), cioè, unirsi per costituire una famiglia, con l’obiettivo di generare una prole ed educarla sulle vie di Dio.


È attraverso questo scambio d’amore che la persona ha nozione di quanto ella è stimata da Dio, ed è in questo rapporto di donazione reciproca che trova un trampolino per giungere fino all’Infinito. Ecco la base e la solidità di qualsiasi convivenza! E non solo tra quelli che si sposano – e a questo è chiamata la maggior parte –, ma anche tra quelli che, a imitazione di Cristo Vergine, abbracciano il celibato “per il Regno dei Cieli” (Mt 19, 12) e realizzano un connubio con l’ideale religioso, con l’obbligo di fare il bene agli altri e di dedicarsi all’apostolato. Come il matrimonio, anche questa vocazione è indissolubile e, nei due casi, si applica senza distinzione la sentenza di Nostro Signore Gesù Cristo: “l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”.


II – Il piano originale di Dio è restaurato ed elevato


E una legge della Storia che i più grandi sconvolgimenti si producano quando la verità si manifesta dove impera la morale relativista, estranea a Dio. È quello che si è verificato, in forma archetipica, con l’apparizione della Verità con la “V” maiuscola: Nostro Signore Gesù Cristo. Il mondo intero era, allora, immerso in una terribile crisi, soprattutto morale, da cui non sfuggiva neppure il popolo eletto. E Gesù, senza intervenire nella politica né istigare rivoluzione alcuna, ma solamente predicando la sua dottrina, provocò una tremenda scossa in tutta la Terra.


La visita della regina di Saba al re Salomone

Significativo, in questo senso, è l’episodio riferito nel Vangelo di questa domenica. Dopo il peccato originale, la donna fu poco alla volta tolta dalla considerazione dell’uomo e la poligamia – che ebbe la sua origine nel lignaggio di Caino (cfr. Gen 4, 19) – divenne un costume generalizzato in molte civiltà pagane dell’Antichità, ed era tollerata, anche, tra gli Ebrei. Anche sotto il regime della Legge di Mosè, il trattamento riservato all’elemento femminile era caratterizzato dal disprezzo. Il Divino Maestro venne a ristabilire la primitiva purezza dell’istituzione del matrimonio.


Una domanda formulata con perversa intenzione


In quel tempo, 2 alcuni farisei si avvicinarono e, per metterLo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito ad un marito ripudiare la propria moglie.


Il Divino Maestro stava evangelizzando la “regione della Giudea e al di là del fiume Giordano” (Mc 10, 1). Mentre insegnava alle moltitudini, i farisei, adepti di una morale di esteriorità, si approssimarono a Lui. Non volevano apprendere, ma distruggere, come mette in risalto San Beda: “C’è da notare la differenza che esiste tra lo spirito del popolo e quello dei farisei: il primo viene per essere istruito dal Signore, affinché guarisca i suoi infermi, […] gli ultimi, per ingannarLo, tentandoLo”.3


Consapevoli che il Redentore aveva già difeso il matrimonio indissolubile (cfr. Mt 5, 31-32), i loro avversari vollero metterLo alla prova, confrontandoLo con Mosè, che aveva permesso il divorzio. Volevano, così, metterLo in una posizione difficile, poiché se Egli avesse risposto negativamente, Si sarebbe pronunciato contro il profeta; se avesse detto di sì, avrebbe rigettato la sua stessa dottrina. Inoltre, tanto l’una quanto l’altra soluzione avrebbe diviso l’opinione pubblica, dato che i Giudei seguivano le più svariate tendenze a questo riguardo.


La Sapienza Divina smonta una trappola umana


3 Ma Egli rispose loro: “Che cosa vi ha ordinato Mosè?”



Gesù Cristo e l’adultera

Nostro Signore è la Sapienza Eterna e Incarnata e, in quanto Seconda Persona della Santissima Trinità, non solo conosce tutto, fin da tutta l’eternità, ma anche contempla tutto in un perpetuo presente, poiché per Lui non c’è passato né futuro. In quanto Uomo, la sua Anima è stata creata nella visione beatifica, dotata di scienza infusa, pertanto, in costante e piena consonanza con la sua visione divina. Per Lui, allora, non costituisce una novità il fatto che Gli presentino tale problema. Sapendo qual è il pessimo intento dei farisei nel montare quella trappola, Gesù risponde con piena naturalezza e in modo perentorio, andando direttamente al punto in cui hanno intenzione di portarLo. Gli interpellanti, una volta scoperti, devono confessare le loro intenzioni.


La legge positiva deformata dalla casistica


4 Dissero: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla”.


Infatti, era messo per iscritto da Mosè che il marito poteva cacciare sua moglie quando trovava in lei “qualche cosa di vergognoso” (Dt 24, 1). Termini molto generici, che – come è solito accada – con il tempo hanno dato luogo a numerose polemiche tra gli studiosi della Legge. Essi discutevano i casi in cui tale concessione sarebbe stata appropriata, ma siccome non erano dotati di infallibilità – di cui gode il Papa per non sbagliare in materia di Fede e di morale –, deviarono, giungendo a estremi inimmaginabili nelle loro interpretazioni e moltiplicando le casistiche fino all’assurdo. Alcuni erano rigoristi, sostenitori di maggiori restrizioni nell’applicazione del precetto; altri, lassisti, favorevoli a una dissolubilità quasi illimitata del matrimonio. Questi ultimi erano dell’opinione che se la donna avesse fatto bruciare del cibo, il marito aveva già un motivo sufficiente per ripudiarla.4 Al di là del fatto che si trattava di un’insensatezza che feriva lo stesso diritto naturale, una tale facilità nel divorziare concorreva a togliere valore sempre di più alla donna e schiavizzare l’uomo alle sue stesse passioni.


Ora, questo non era coerente col disegno di Dio quando creò Eva dalla costola di Adamo. Se fosse stata una sua volontà “che l’uomo potesse lasciare l’una e prendere un’altra, dopo aver creato un solo uomo avrebbe formato molte donne”,5 riflette San Giovanni Crisostomo. Ad Adamo fece piacere contemplare Eva perché vide in lei quello che non aveva trovato in nessun animale, cioè, un essere razionale, capace di entrare in consonanza con lui per salire, insieme, fino a Dio, in un mutuo perfezionamento, in cui le qualità “si temprassero e si equilibrassero le une alle altre, e le virtù comunicassero le une alle altre sfumature armoniose”.6


Un permesso motivato dalla durezza di cuore


5 Gesù disse loro: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma”.


Nel situare Mosè al centro della discussione, Nostro Signore pone i farisei “al muro”, poiché dimostra loro che quella era una legge umana, sebbene promulgata sotto ispirazione divina. Il grande legislatore non aveva sbagliato; tuttavia, tanto quel permesso quanto la poligamia, nell’Antico Testamento, non erano che una contingenza, provocata dalla durezza di cuore degli Ebrei. Insomma, “lo stato inferiore della civiltà degli Israeliti di quell’epoca, una triste insensibilità agli ordini di Dio, un egoismo sfrenato, tali erano le ragioni per cui Mosè aveva tollerato il divorzio; e anche questa tolleranza mirava a limitare gli abusi”,7 commenta Fillion.


Tuttavia, il Redentore venne a ristabilire l’ordine. Aveva il diritto di promulgare qualsiasi legge non solo come Dio, ma anche come Profeta, previsto da Mosè stesso (cfr. Dt 18, 15). Di conseguenza, la sua parola valeva molto di più di quella di Mosè! Per evidenziare questo ai farisei, Egli farà una dichiarazione rigorosa, indicando il progetto originario di Dio rispetto al matrimonio.


La primitiva purezza del matrimonio è ristabilita


6 “Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; 7 per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. 8 Così non sono più due, ma una sola carne. 9 Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”.


Sposalizio di Tobia e Sara

Visto che non era giunto il momento di manifestare pienamente la sua divinità – infatti non l’avrebbero accettata –, Gesù presenta un argomento irrefutabile: le parole della Scrittura, ispirate da Lui stesso. Citando il testo della Genesi, Si riporta al principio della creazione, ossia, alla relazione che esisteva tra uomo e donna prima del peccato: unione santa, monogamica e indissolubile, in totale conformità con la natura di entrambi. Se questa situazione fu alterata, ciò è dovuto alla durezza di cuore delle generazioni posteriori, conseguenza della caduta originale.


In questo passo, il Salvatore consacra il matrimonio nella Nuova Legge, ristabilendo il vincolo coniugale esclusivo e perenne, che solo la morte può disfare. Infatti, questo non rimane nel Cielo, come Gesù chiarisce più tardi, a proposito di una discussione con i sadducei (cfr. Mt 22, 30); si tratta di una alleanza permanente soltanto in questa vita. Il matrimonio è una vocazione, e coloro che sono chiamati ad abbracciarla dovranno lasciare i loro genitori “e i due diventeranno una carne sola”. Instaurando il regime della grazia, il Redentore stesso offre all’umanità la forza per render questo possibile.


Non è difficile immaginare quanto questa sentenza del Divino Maestro abbia scalfito i farisei… In tutte queste affermazioni, “è sempre Lui che gli cuce la bocca e pone un freno all’impudenza del loro linguaggio, e con questo li allontana da Sé. Senza dubbio, nemmeno così retrocedono nel loro impegno. Tale è naturalmente la malizia, tale l’invidia, sfacciata e insolente”.8


Il contratto naturale elevato a Sacramento


10 A casa, i discepoli Lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: 11 “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; 12 e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio”.


Sposalizio, di Pietro Longhi

La polemica suscitò dubbi nei discepoli, poiché, nati in quell’ambiente, conoscevano molto bene le diverse teorie che circolavano sul matrimonio. Avrebbe il Maestro, ora, mutato la Legge? Per questo fecero domande a Gesù, ed Egli ne approfittò per esporre questa dottrina con maggior profondità ai suoi più prossimi. Se il matrimonio è indissolubile, il marito che si separa dalla moglie, o viceversa, e contrae una nuova unione, commette adulterio.


Sorge, allora, il problema: sarebbe sufficiente restaurare il matrimonio nella sua primitiva purezza o ci sarebbe qualcosa da aggiungere a questa visione essenziale? La risposta è semplice. Nostro Signore ha elevato il matrimonio – di per sé un contratto naturale – alla categoria di Sacramento. Nella celebrazione delle nozze, i ministri sono i coniugi stessi. Nel pronunciare la formula con la quale manifestano il consenso alla loro unione, oltre ad aver aumentata la grazia santificante, è data loro un’assistenza speciale per mantenere più facilmente la mutua fedeltà e compiere i doveri del loro nuovo stato.


Unione di due che hanno deciso di abbracciare insieme la croce


Questo spezza l’idea romantica – tanto diffusa dalle produzioni cinematografiche di Hollywood e dalle telenovelas – che la vita matrimoniale sia una realtà fatta di rose… Sì, ci sono rose profumate, dai petali molto belli, ma con gambi crivellati di spine terribili… Perché non esistono due temperamenti uguali! Se non ci sono due granelli di sabbia o due foglie di albero identiche, meno ancora due creature umane. Infatti quanto più si sale nella scala degli esseri, maggiore è la differenza tra loro. L’utopia dell’eguaglianza assoluta degli uomini è una pazzia! Il Prof. Plinio Corrêa de Oliveira era solito dire che Dio non è balbuziente, pertanto, non ripete le sue opere: “Ogni essere è una sillaba unica e perfetta dell’azione creatrice di Dio in quella gamma, il che è veramente una meraviglia”.9


A volte ci sono processi di separazione a causa di bagatelle. Qual è la radice di tali disaccordi? La difficoltà di accettare la Croce di Nostro Signore, della quale, nella seconda lettura (Eb 2, 9-11), ci parla San Paolo: “Conveniva infatti che Dio – per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, Lui che conduce molti figli alla gloria – rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza” (Eb 2, 10). Per redimerci, sarebbe bastato che Gesù offrisse al Padre un gesto – infatti tutti i suoi atti hanno un merito infinito –, ma Egli ha preferito patire i tormenti della Crocifissione, il supplizio più ignominioso di quei tempi, dandoci così l’esempio di come dobbiamo abbracciare la nostra croce.


È l’Apostolo che, scrivendo agli Efesini, si riferisce al matrimonio come simbolo dell’unione tra il Signore Gesù e la Santa Chiesa (cfr. Ef 5, 22-32). Il Salvatore la ama al punto da aver versato per lei tutto il suo Sangue, ed è essenziale che i coniugi siano disposti a fare lo stesso l’uno per l’altro. Solo quando entrambi si decidono ad abbracciare la croce e a portarla insieme, il matrimonio raggiunge la sua pienezza e il suo splendore. In questo modo, “dove c’è una sola carne, c’è un solo spirito: pregano uniti, si prostrano uniti, digiunano uniti, si istruiscono mutuamente, si esortano mutuamente, si incoraggiano mutuamente. Sono uguali nella Chiesa di Dio, nel banchetto di Dio, nelle prove, nelle persecuzioni e nelle consolazioni”.10


Non illudiamoci! In qualunque stato di vita, il vero cammino da seguire è quello della croce! Dopo il peccato originale, essa sarà sempre presente nella convivenza sociale, essendoci dissidi e divergenze anche tra sposi. Falsa sarebbe l’affermazione che è possibile esista una coppia così interamente armoniosa, che ogni consorte non abbia da fare alcuno sforzo per adattarsi all’altro. Da qui l’importanza del Sacramento, che “purifica gli occhi della natura, rende sopportabili le disgrazie, più tenere le malattie, amabili la vecchiaia e i capelli bianchi. La grazia rende l’amore paziente. Essa lo fortifica di fronte allo shock dei difetti in cui si è imbattuto”.11


Agisce con grande insensatezza chi si basa sulla stretta bellezza fisica nel contrarre il matrimonio, dimenticandosi che, col passare degli anni, la fisionomia e la pelle acquistano un altro aspetto… Peggio ancora è l’errore nel quale incorre chi si sposa per sensualità, credendo nella menzogna che la felicità consista nello sfogare le passioni voluttuose nel rapporto matrimoniale. In questo non può esserci libertinaggio; ognuno deve rispettare se stesso e l’altro, avendo come obiettivo la prole. Ciò che si fa senza questa intenzione è puramente e semplicemente peccaminoso, come insegna Sant’Agostino: “tutto quanto gli sposi realizzano contro la moderazione, la castità e il pudore è un vizio e un abuso, che non proviene dall’autentico matrimonio, ma da uomini un po’ sfrenati”.12 Sciogliere le redini delle passioni è inconcepibile in qualsiasi circostanza, poiché il combatterle è il fulcro della nostra lotta e della nostra croce.


III – L’innocenza, sostegno di qualunque stato di vita


Gesù accoglie un bambino

Dal momento che – come finora abbiamo considerato – il Vangelo di oggi si concentra sul matrimonio, potremmo giudicare irragionevole in questo contesto i prossimi versetti, dedicati al rapporto di Gesù con i bambini. In realtà, essi integrano il tema e indicano qual è la postura ideale dell’uomo nella società.


È evidente che Dio vuole la crescita del genere umano, allo scopo di popolare il Cielo con più figli e figlie. Tale conquista fu da Lui condizionata all’unione dell’uomo e della donna. “I genitori cristiani intendano inoltre che sono destinati non solo a propagare e conservare in Terra il genere umano; anzi non solo ad educare comunque dei cultori del vero Dio, ma a procurare prole alla Chiesa di Cristo, a procreare concittadini dei Santi e familiari di Dio, […] essendo loro ufficio offrire la propria prole alla Chiesa, perché da questa fecondissima Madre di figli di Dio la prole venga rigenerata per mezzo del lavacro del Battesimo alla giustizia soprannaturale, e perché diventi membro vivo di Cristo, partecipe della vita immortale e infine erede della gloria eterna”.13 Ossia, non basta che nascano bambini; compete alla famiglia anche la missione di conservare in loro l’innocenza.


Una concezione autosufficiente della vita spirituale


13 Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono.


Certamente erano le madri che, mosse dall’istinto materno, portavano i figlioletti fino a Gesù, in cerca del meglio per loro. Nostro Signore era capace di ottenere qualsiasi beneficio, per quanto straordinario fosse – dopotutto, solo toccando il suo manto i malati erano guariti! –, e può darsi avessero capito che quando accarezzava la testa di un bambino, questi diventava più intelligente. Conducevano, dunque, i piccoli vicino al Salvatore, affinché, imponendo loro le mani, gli concedesse salute, forza, sapienza e, soprattutto, grazie. Ora, con la loro vivacità infantile, facevano baccano intorno a Lui… Per questo motivo, alcuni commentatori suggeriscono che gli Apostoli erano preoccupati a mettere ordine nella moltitudine e, per evitare che i bambini infastidissero il Maestro, li rimproveravano.


La realtà, però, è più profonda. Non solo le donne – come abbiamo considerato sopra –, ma anche i bambini erano trattati con disprezzo nell’Antichità, situazione che sarebbe mutata solo con gli effetti del preziosissimo Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo. Secondo la mentalità israelita, la pratica della Religione competeva esclusivamente agli uomini e partiva da un’iniziativa propria: la persona, dopo una dettagliata analisi, prendeva la risoluzione di seguire le vie di Dio; quindi, lei stessa era la causa della sua adesione alla Fede. Più tardi, Gesù avrebbe rettificato questo concetto, insegnando ai suoi: “Non voi avete scelto Me, ma Io ho scelto voi” (Gv 15, 16). Per questo, tanto i farisei quanto i discepoli reputavano i bambini elementi estranei alla Religione. Questioni relative al Regno dei Cieli si discutevano con gente matura, capace di ragionare e scoprire da sola dov’era la verità.


Per entrare nel Regno, dobbiamo essere dipendenti da Dio


14 Gesù, al vedere questo, S’indignò e disse loro: “Lasciate che i bambini vengano a Me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il Regno di Dio”.


“Al vedere questo” – l’errore classico di supporre che la salvezza è frutto dello sforzo –, il Divino Redentore Si è rattristato. Affermando che il Cielo appartiene a coloro che sono come i bambini, insegna che l’iniziativa è presa da Dio, poiché è Lui che distribuisce le grazie, designa a ciascuno la sua vocazione e santifica. Dobbiamo accettare la sua chiamata come bambini in relazione a Dio, e come adulti nel governo delle creature.


Chi è piccolo non si ritiene un colosso né autosufficiente, ma dipendente; è ciò che Nostro Signore elogia e indica come modello da esser imitato. Come spiega San Giovanni Crisostomo, “l’anima del bambino è pulita da tutte le passioni. […] E per quanto sua madre lo castighi, va a cercarla e la preferisce tra tutti gli altri. […] Per cui il Signore dice: ‘A loro appartiene il Regno di Dio’, affinché facciamo per libera volontà la stessa cosa che il bambino ha per dono di natura”.14


La formula per conquistare il Cielo


15 “In verità Io vi dico: chi non accoglie il Regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso”. 16 E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.


Convinciamoci di questo: siamo creature contingenti, necessitiamo dell’aiuto di Dio! È necessario essere “come un bambino” per riconoscere la sua volontà e compierla: sia nel matrimonio, con la disposizione di armonizzarsi col coniuge; sia nello stato religioso, con l’anima aperta a quanto viene dall’alto, alla maniera del figlio docile agli insegnamenti dei genitori.


Essere come un bambino significa anche esser innocente, cioè, avere l’anima simile a un cristallo che non è mai stato graffiato: limpida, trasparente e piena di luce, mai macchiata da nessuna colpa. Il Regno di Dio è costituito da coloro che si impegnano a conservare la propria innocenza e quella degli altri. Quando preghiamo nel Padre Nostro “venga il tuo Regno”, dobbiamo ardere dal desiderio che sulla Terra e dentro di noi si stabilisca la supremazia dell’innocenza! Se abbracciamo questo ideale, saremo abbracciati da Nostro Signore, perché Egli benedice coloro che si fanno piccoli.


Nostro Signore attira i bambini

Invece, chi ha perduto l’innocenza, non pensi di essere in una situazione irrimediabile. Questo tesoro può esser restaurato, come si è verificato nel caso di Santa Maria Maddalena, di Sant’Agostino e tanti altri, nel corso dei tempi. Ed è soprattutto nell’amore all’Innocenza che recuperiamo la nostra innocenza!


La fonte della nostra innocenza, conservata o restaurata


In sintesi, la Liturgia della 27ª Domenica del Tempo Ordinario è un’apologia dell’innocenza. Ascoltiamo le parole di San Paolo nella seconda lettura: Colui “per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose” – Gesù Cristo – e che “conduce molti figli alla gloria”. Sì, Egli vuole i figli nati dall’unione tra l’uomo e la donna per portarli, innocenti, all’eterna beatitudine! “Infatti Colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non Si vergogna di chiamarli fratelli” (Eb 2, 11). Ecco la causa di tutta l’innocenza, la fonte della nostra vita spirituale! Ognuno di noi è stato nella mente di Dio da tutta l’eternità e, a un certo momento, passò all’esistenza. Nel campo soprannaturale abbiamo la stessa origine del Signore Gesù, siamo tutti fratelli, apparteniamo alla famiglia divina, ed è al fine di aumentare il numero dei suoi membri che è stata istituita la famiglia terrena. Chiediamo l’indispensabile protezione della grazia per conservare intatta l’innocenza, o per riconquistarla, e siamo araldi dell’Innocenza Eterna, Nostro Signore Gesù Cristo, e della Innocente per eccellenza, Maria Santissima. Brilli l’innocenza sulla Terra in forma gloriosa, portentosa e straordinaria, e divida la Storia, come Cristo ha fatto, essendo pietra di scandalo per la salvezza degli uni e la condanna degli altri!


1) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. I, q.96, a.1.


2) Cfr. Idem, q.92, a.2; a.3


3) SAN BEDA. In Marci Evangelium Expositio. L.III, c.10: ML 92, 229.


4) Cfr. MIDRASH SIFRE DEUT. 24, 1, §269. In: BONSIRVEN, SJ, Joseph

(Ed.). Textes rabbiniques des deux premiers siècles chrétiens.

Roma: Pontificio Istituto Biblico, 1955, p.76.


5) SAN GIOVANNI CRISOSTOMO. Homilía LXII, n.1. In: Obras.

Homilías sobre el Evangelio de San Mateo (46-90). 2.ed. Madrid:

BAC, 2007, v.II, p.288.


6) MONSABRÉ, OP, Jacques-Marie-Louis. La sainteté du mariage.

In: Exposition du Dogme Catholique. Grâce de Jésus-Christ.

V - Mariage. Carême 1887. 10.ed. Paris: P. Lethielleux, 1903,

v.XV, p.13-14.


7) FILLION, Louis-Claude. Vida de Nuestro Señor Jesucristo.

Vida pública. Madrid: Rialp, 2000, v.II, p.420.


8) SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, op. cit., p.286-287.


9) CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio. Conferenza. São Paulo,

16 apr. 1966.


10) TERTULLIANO. Ad uxorem. L.II, c.9: ML 1, 1302-1303.


11) MONSABRÉ, op. cit., p.41.


12) SANT’AGOSTINO. De bono coniugali. C.VI, n.5. In: Obras.

Madrid: BAC, 1954, v.XII, p.55.


13) PIO XI. Casti connubii, n. 7.


14) SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, op. cit., n.4, p.297.


Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” da Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.

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