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XI Domenica del tempo ordinario - Anno A


“La chiamata degli Apostoli”, di Domenico Ghirlandaio - Cappella Sistina, Vaticano

Vangelo

In quel tempo36 Gesù, vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore.37 Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi!38 Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!».

10,1 Chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e di infermità.

2 I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea, suo fratello; Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello,3 Filippo e Bartolomeo, Tommaso e Matteo il pubblicano, Giacomo di Alfeo e Taddeo,4 Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, che poi lo tradì.

5 Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani;6 rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. 7 E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino.8 Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 9, 36-38; 10, 1-8).


I – Dio ci ha amati per primo!

A nessuno sfugge questa ovvietà della vita quotidiana: quanto più abbiamo la possibilità di plasmare l’ambiente che ci circonda secondo i nostri gusti, tanto più è oggetto del nostro apprezzamento. Ad esempio, quando compriamo una casa, è perché ci piace, altrimenti non la acquisteremmo. Ma, soprattutto, è dopo aver fatto ogni sforzo per renderla bella secondo le nostre preferenze che arriviamo ad apprezzarla in modo speciale. E a maggior ragione si rivestirà di significato se ci vivremo a lungo, vedendo la nostra famiglia crescere tra le sue pareti che, con il passare degli anni, conserveranno il ricordo di una vita intera. Possiamo dire che qualcosa di simile accade nel rapporto di Dio con l’umanità, come sottolinea San Paolo nella seconda lettura (Rm 5, 6-11) della Liturgia di questa domenica.


Dio ci amava anche quando eravamo in inimicizia con Lui

In questo passo della Lettera ai Romani, l’Apostolo cerca di incoraggiare la fiducia nella bontà divina presentando un ragionamento inconfutabile: «a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. […] Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita» (5, 7-8, 10).


Avendo ereditato il peccato originale e le sue conseguenze, prima del Battesimo siamo solo creature di Dio, in stato di inimicizia con Lui. E questa situazione è aggravata dai peccati effettivi, che consistono in un allontanamento consapevole e volontario dal Creatore e in un volgersi disordinato verso le creature. Nonostante ciò, «Dio ci ha amati per primo» (1 Gv 4, 19) e ha preso l’iniziativa di inviare suo Figlio per redimere l’umanità. Siamo purificati dalla macchia del peccato originale e riconciliati con Lui attraverso le acque battesimali, che ci elevano alla condizione di figli di Dio, partecipi della sua natura, fratelli di Gesù Cristo e coeredi del Cielo, per i meriti della sua Incarnazione, Passione e Morte. A questo proposito, San Giovanni Crisostomo commenta: «Il fatto che Egli abbia voluto salvarci, nonostante fossimo schiacciati sotto il peso di tante colpe e cattiverie, è la prova evidente del grande amore che Colui che ci ha salvato ha avuto per noi. Infatti, non è stato per mezzo di Angeli o Arcangeli, ma per mezzo del Suo Unigenito Figlio che ci ha dato la salvezza».1 Così, se eravamo già amati malgrado fossimo malvagi, quanto più Dio ci amerà dopo che saremo stati perdonati e avremo recuperato interamente la sua amicizia, come il proprietario di una casa sistemata e decorata a suo gusto!


Ora, come vedremo, questo meraviglioso principio diventa ancora più convincente alla luce dell’insegnamento dato da Nostro Signore in questo Vangelo.


II – La necessità di pastori

In quel tempo36 Gesù, vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore.


Basta percorrere le pagine del Vangelo per constatare quanto la pastorizia si presti a simboleggiare il rapporto tra Dio e gli uomini. A quel tempo si viveva in una società strettamente legata alla campagna. Così, in modo didattico, Gesù fa molte volte riferimento all’attività pastorale nelle sue predicazioni, presentandoSi addirittura come il Buon Pastore, per essere ben compreso dai suoi ascoltatori. Nel versetto citato, Egli menziona la stanchezza delle pecore che non hanno pastore. Infatti, in assenza di un pastore, gli animali tendono a disperdersi e, vagando fuori dal loro normale percorso, spesso si affaticano. Se ci fosse un pastore, egli dirigerebbe il gregge verso i pascoli migliori, dove potrebbe alimentarsi e riposare tranquillamente sotto la sua vigile protezione.


Questa immagine riflette una realtà molto più dolorosa per quanto riguarda la salvezza delle anime. Senza una guida spirituale competente che sappia discernere le necessità del gruppo a lui affidato e adattare l’apprendimento e il progresso alle circostanze spirituali di ciascuno, le persone si disorientano e, guidate da cattive tendenze, si allontanano dalla retta via, imboccando le vie del peccato, alla ricerca dell’illusoria felicità fornita dai beni terreni. Questa mancanza di direzione produce stanchezza e scoraggiamento. Eppure, spesso sarebbe sufficiente uno sguardo di incoraggiamento o una parola di fiducia da parte di un pastore fervente per ricondurle alla pratica della virtù.


Trattandosi, infatti, della salvezza dell’anima, rappresenta un grande aiuto il consiglio di una persona più esperta. È un principio classico della vita interiore che il più grande timore del demonio nel tentare qualcuno consista proprio nel fatto che la vittima cerchi la guida di un superiore o di un confessore. Quando ciò accade, le perfide manovre diaboliche vengono presto smascherate e diventano innocue, perché il male progredisce nella misura in cui riesce a camuffare le sue intenzioni finali.


Gesù, per conoscenza divina, vedeva da tutta l’eternità lo stato di impoverimento delle moltitudini che Lo seguivano. Come Uomo, però, non aveva ancora sperimentato quella terribile situazione di penuria spirituale. Per questo, nel constatarla, «ebbe compassione di loro», cioè patì, soffrì con. Egli dunque fece della loro sofferenza la Sua stessa sofferenza.


“Gesù predica alle folle”, di Jan Brueghel il Vecchio – Galleria Nazionale, Parma

Oggi, purtroppo, a causa di una concezione sbagliata, la compassione viene intesa quasi solo nel senso dei bisogni materiali. Questi bisogni vanno certamente soddisfatti, propiziando l’apertura delle persone all’azione della grazia. È stata la Civiltà Cristiana a introdurre le opere di carità nei rapporti umani. Dalla materna sollecitudine della Chiesa sono nati gli ospedali e numerose istituzioni per l’assistenza ai poveri e agli indigenti. Ma di per sé è più importante – senza prescindere dal materiale – dare la formazione dottrinale e la consolazione spirituale, perché l’anima è, per natura, più nobile, elevata e rilevante del corpo. Non c’è nulla che possa eguagliare la gioia che deriva da una coscienza equilibrata e tranquilla. Quando questa non è pulita e trasparente, l’uomo non si sente felice, anche se gode di tutti i beni terreni.


È la felicità soprannaturale, cercata invano dalle moltitudini, che Gesù vuole offrire loro. Erano stanche e abbattute perché non c’era nessuno che le orientasse rettamente in vista della venuta del Messia, che le Scritture indicavano essere vicina. Ad aggravare il panorama, c’erano false guide che «pur dovendo essere pastori, si comportavano come lupi, perché non solo non correggevano la moltitudine, ma erano il maggiore ostacolo al suo progresso».2


Questa orfanilità non era limitata a quei tempi. Se il Verbo Si incarnasse ai nostri giorni, sicuramente il suo atteggiamento non sarebbe diverso, o forse la sua compassione sarebbe ancora più marcata, visto quanto il mondo è disorientato e deviato. Per mancanza di pastori autentici in numero sufficiente, l’Opinione Pubblica diventa sorda alla voce di Dio, diventa incapace di comunicare la verità agli altri e finisce per non comprendere la salvezza che le viene presentata dalla Chiesa. Così come nella sua vita terrena Gesù prese l’iniziativa di andare nei villaggi, guarendo tutti lungo il cammino senza respingere nessuno, anche oggi Egli va alla ricerca della moltitudine indifesa ed è sempre disposto ad accogliere il peccatore. Tutto ciò che serve è il pentimento sincero e il desiderio di modificare la propria vita. Questo è il momento di avere pietà del gregge e di ricordarci dell’obbligo di ogni battezzato di fare apostolato con i suoi simili.


Onnipotente, ma vuole la nostra collaborazione

37 Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi! 38 Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!»


È importante sottolineare che Gesù Cristo, essendo Dio, potrebbe realizzare direttamente ciò che raccomanda agli Apostoli di chiedere al “padrone della messe”. Per questo, sarebbe sufficiente un semplice atto della sua volontà – «Voglio che tutti siano condotti sulla via della santità!» –, prescindendo dalla nostra preghiera. Ma, no! Per un disegno misterioso, Egli deposita nelle nostre mani la possibilità di collaborare all’opera di salvezza delle anime. Come? Pregando!


“Predicazione di San Pietro”, di Masolino da Panicale – Chiesa di Santa Maria del Carmine, Firenze

Allo stesso tempo, Egli sarebbe in grado di soddisfare le esigenze della messe e di concedere a tutti l’opportunità di convertirsi mediante una grazia efficace – come quella ricevuta da San Paolo sulla via di Damasco – dispensando dal servizio gli operai della messe. Tuttavia, Egli stabilisce che il messaggio del Vangelo sia trasmesso con strumenti umani, attraverso l’opera dei suoi discepoli. Se analizziamo a fondo la questione, vedremo che l’uomo stesso è già stato creato con l’istinto della socievolezza, in modo da propiziare l’apostolato. Abbiamo il desiderio e la necessità di entrare in contatto con i nostri simili, e la felicità di uno dipende dagli altri. Pertanto, l’azione reciproca, il buon esempio e il buon consiglio sono fattori preponderanti per la santificazione, il perfezionamento e la perseveranza di tutti nel cammino verso la beatitudine.


Esame di coscienza per noi! Nelle nostre relazioni ci preoccupiamo del prossimo, ci impegniamo per il suo progresso spirituale? Siamo ferventi nella preghiera? Di fronte a questo desiderio del Salvatore, espresso in questo versetto, dobbiamo alzare la voce per implorare al “padrone della messe”, padrone dell’Opinione Pubblica e di tutta la faccia della terra, molti pastori affinché la nazione santa del Nuovo Testamento cresca.


Il male soggiogato da fragili strumenti

10,1 Chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e di infermità.


Teniamo presente che il male in quei tempi era evidenziato soprattutto dalla possessione diabolica visibile, con manifestazioni rumorose, mentre oggi il demonio si impossessa forse di un maggior numero di persone, ma in modo surrettizio e velato.


Il fatto che Nostro Signore abbia chiamato i Dodici per dare loro autorità sugli spiriti maligni e potere di curare le malattie, significa che ha dato loro il dono di strangolare il male e diffondere il bene. Così Gesù, la Seconda Persona della Santissima Trinità Incarnata, ancor prima della sua crocifissione spezzava il dominio delle tenebre e sconfiggeva il demonio. Per umiliare quest’ultimo, invece di agire direttamente, lo faceva attraverso creature umane, di per sé incapaci di lottare contro Satana.


Un resoconto dei primi tempi della Chiesa

2 I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea, suo fratello; Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, 3 Filippo e Bartolomeo, Tommaso e Matteo il pubblicano, Giacomo di Alfeo e Taddeo, 4 Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, che poi lo tradì.


La cura di San Matteo nel riportare nel suo Vangelo i nomi dei dodici Apostoli corrisponde alla necessità di rendere noti questi fondamenti della Chiesa per i secoli a venire, in un’epoca di rapida espansione della Religione, in cui la trasmissione della dottrina ai più svariati popoli avveniva quasi solo oralmente e avrebbe potuto causare alcuni dubbi o imprecisioni in futuro.


Per umiltà San Matteo include il suo nome dopo quello di San Tommaso, a differenza degli altri Evangelisti (cfr. Mc 3, 18; Lc 6, 15), aggiungendo anche un riferimento alla sua precedente condizione di esattore delle tasse, per porre rimedio alla sua vita passata. E menziona Simon Pietro prima di tutti, per sottolineare il suo ruolo di Capo della Chiesa nascente, rappresentante di Nostro Signore Gesù Cristo sulla terra, detentore dell’infallibilità. Colui che, per guidare il Corpo Mistico di Cristo con piena fedeltà, deve affidarsi alle potenze del Cielo!


Le cure di un apostolo principiante

5 Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; 6 rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele».


Quando furono inviati per la loro prima missione, gli Apostoli non erano ancora pienamente formati e avrebbero potuto facilmente essere influenzati negativamente da ambienti pericolosi, come quello dei gentili o dei samaritani, generalmente dediti al godimento dei piaceri terreni. Solo dopo la Risurrezione, Gesù dirà loro: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni» (Mt 28, 19); e solamente con la discesa dello Spirito Santo, a Pentecoste, sarebbero stati pronti a svolgere la missione di predicare ai pagani.


È una lezione per noi, perché se il Salvatore ha usato tanta prudenza per preservare gli Apostoli, è indispensabile che anche noi ci preoccupiamo di non lasciarci mai attrarre da ciò che non sia in accordo con Nostro Signore quando entriamo in contatto con coloro che devono essere evangelizzati. Quando ci manca ancora la formazione appropriata, vale la pena prendere le dovute precauzioni; una volta istruiti e rafforzati, allora potremo partire alla conquista in modo determinato e sempre vigile.


D’altra parte, era necessario che i discepoli facessero apostolato con le “pecore perdute” del popolo eletto, sia perché la salvezza doveva essere offerta in modo preferenziale a loro, sia per correggere l’errata concezione nazionalistica che portava a giudicare che ogni ebreo fosse buono e ogni straniero cattivo, come attesta un documento rabbinico: «Anche il migliore dei goyim deve essere ucciso».3 Bisognava sentire sulla propria pelle il rifiuto del messaggio del Messia, affrontando le insidie dei farisei, degli scribi e dei sadducei, e anche di molti elementi del popolo, per rendersi conto della malizia che c’era in loro. Questo shock salutare avrebbe accentuato la consapevolezza del cambiamento di mentalità che avevano subito nel loro rapporto con il Divin Maestro.


Attestando con i fatti la veridicità del Vangelo

7 «E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. 8 Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».


La missione principale affidata agli Apostoli fu quella di trasmettere la Buona Novella: il Regno dei Cieli è vicino!


Ora, normalmente un uomo di Dio attestava la verità delle sue parole con fenomeni straordinari. E nei Libri Sacri era detto che, quando fosse venuto il Messia, gli zoppi avrebbero camminato, i ciechi avrebbero visto, i muti avrebbero parlato, i sordi avrebbero udito (cfr. Is 35, 5-6). Perciò, per dare una testimonianza convincente che Egli era davvero il Messia, Gesù ordina agli Apostoli di compiere molti miracoli. «Affinché nessuno rifiutasse di credere a questi uomini rustici e senza eleganza di linguaggio, ignoranti e illetterati, che promettevano il Regno dei Cieli, concesse loro questo potere […], al fine di dimostrare, con la grandezza dei miracoli, la grandiosità delle promesse».4


Ma, così come avevano ricevuto questo dono “gratuitamente”, avrebbero altresì dovuto agire a beneficio del prossimo, svolgendo un ruolo simile a quello che Nostro Signore aveva avuto con loro. Dovevano cioè fare il bene in modo incondizionato.


III – Il Regno proclamato nel XXI secolo

Alla luce di questi poteri conferiti da Gesù ai Dodici, così come a innumerevoli uomini giusti nei primi tempi dell’espansione del Cristianesimo, è opportuno chiedersi perché queste meraviglie non si ripetano più con la stessa frequenza. La risposta la diede San Gregorio Magno, alla fine del VI secolo: «Queste cose furono necessarie all’inizio della Chiesa, perché, affinché la fede si rafforzasse nella moltitudine dei fedeli, doveva essere alimentata dai miracoli […]. Ma, in realtà, la Santa Chiesa fa ogni giorno, spiritualmente, ciò che facevano allora gli Apostoli corporalmente».5 Questo importante aspetto che il Santo Dottore ha giustamente sottolineato, non deve essere dimenticato. Attraverso i Sacramenti, la Chiesa opera miracoli ancora più grandi a beneficio delle moltitudini che soffrono di qualche infermità spirituale: lava l’anima lebbrosa dalla sporcizia del peccato, risuscita i morti alla vita della grazia,libera coloro che sono soggetti all’impero del demonio, restituisce la luce della fede a coloro che sono ciechi nell’anima.


Omelia durante una Santa Messa nella Basilica di Nostra Signora del Rosario, Caieiras (Brasile)

Una missione prolungata nei secoli

Il Vangelo dell’undicesima Domenica del Tempo Ordinario contiene una bellezza speciale e un invito per ciascuno di noi. Il compito affidato agli Apostoli, di predicare la prossima venuta del Regno dei Cieli, si concluderà solo alla fine dei tempi, quando la Storia sarà terminata. È la missione della Santa Chiesa, dei suoi ministri consacrati e di ogni battezzato; è l’azione redentrice di Nostro Signore Gesù Cristo che si prolunga nei secoli. Pertanto, siamo obbligati a evangelizzare con la parola, con l’esempio, con la preghiera o con la sofferenza, al fine di trasformare la società. Dobbiamo annunciare la necessità di abbandonare il peccato, di cambiare mentalità, di ricercare continuamente la santità, e lavorare perché ciò avvenga il più presto e il più ampiamente possibile. Per Dio dobbiamo volere non solo il meglio, ma tutto, ora e per sempre!


Teniamo presente che il Regno di Dio inizia qui sulla terra, perché possediamo un seme che fiorirà in gloria nell’eternità, quando parteciperemo alla felicità di Dio stesso. Ognuno di noi ha una certa durata di vita. Saranno venti, cinquanta, cento anni? Solo Dio lo sa. Ma cos’è questo paragonato all’eternità? Assolutamente nulla! Ecco perché la conquista del Regno dei Cieli, già iniziata su questa terra, deve costituire l’obiettivo fondamentale della nostra esistenza.


Note

1 SAN GIOVANNI CRISOSTOMO. In Epistolam ad Romanos. Omelia IX, n.3: PG 60, 471.

2 SAN GIOVANNI CRISOSTOMO. Omelie sul Vangelo di San Matteo. Omelia XXXII, n.2. In: Obras. 2.ed. Madrid: BAC, 2007, vol. I, pp.637-638.

3 KIDDUSHIN. Y 66cd. In: BONSIRVEN, SJ, Joseph (a cura di). Textes rabbiniques des deux premiers siècles chrétiens. Roma: Pontificio Istituto Biblico, 1955, p. 419.

4 SAN GIROLAMO. Commento a Matteo. L.I (1,1-10,42), c.10, n.23. In: Obras Completas. Comentario a Mateo y otros escritos. Madrid: BAC, 2002, vol. II, p.109.

5 SAN GREGORIO MAGNO. Homiliæ in Evangelia. L.II, hom. 9, n.4. In: Obras. Madrid: BAC, 1958, p.679.


Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” da Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.

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