Vangelo
In quel tempo, Pilato disse a Gesù: 33b “Sei Tu il Re dei Giudei?” 34 Gesù rispose: “Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di Me?” 35 Pilato disse: “Sono forse io giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti Ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?” 36 Rispose Gesù: “Il mio Regno non è di questo mondo; se il mio Regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio Regno non è di quaggiù”. 37 Allora Pilato Gli disse: “Dunque Tu sei Re?” Rispose Gesù: “Tu lo dici: Io sono Re. Per questo Io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce” (Gv 18, 33b-37).
Re dell’eternità
Prima di essere flagellato, coronato di spine e crocifisso, Nostro Signore Gesù Cristo dichiara davanti a Pilato la sua sovranità su tutta la creazione: “Io sono Re”.
I – La più autentica delle monarchie
Percorrendo le pagine dell’Antico Testamento, uno degli episodi della storia della nazione eletta attira l’attenzione in modo speciale. Qual è il suo vero significato?
A un certo punto, gli Israeliti sentono di essere diventati inferiori rispetto ad altri popoli governati da re, in quanto essi vivono in un regime teocratico, guidati da Dio per mezzo dei giudici. Allora, chiedono un monarca a Samuele. Discutono col profeta, che viene colto da indignazione, ma sono alla fine esauditi nei loro desideri. Alla fine, giunge l’ora di stabilire il nuovo regime e Dio stesso manda Samuele a ungere Saul come re (cfr. I Sam 8, 4-22; 9, 17; 10, 1).
Ora, questa monarchia, così istituita, nasce da una infedeltà, e le parole divine, che spiegano all’ultimo giudice di Israele le ragioni che portano il popolo ad agire in questa maniera, non lasciano spazio a dubbi: “Non hanno rigettato te, ma hanno rigettato Me, perché Io non regni più su di loro” (I Sam 8, 7). Pertanto, la nazione eletta non vuole più essere governata da Dio direttamente. Va aggiunto che i vantaggi del personaggio scelto sembrano essere del tutto terreni e naturali: “Non c’era nessuno più bello di lui tra gli Israeliti; superava dalla spalla in su chiunque altro del popolo” (I Sam 9, 2). A giudicare dalla descrizione, bastò solo un aspetto fisico di spicco e 30 centimetri di statura in più rispetto a un uomo comune per conferire a Saul la supremazia.
Tuttavia, si possono fare congetture sulle cause dell’accaduto. Non avrebbe Dio ispirato in fondo all’anima degli Israeliti il desiderio, probabilmente implicito, di una regalità da stabilire in forma inedita sulla Terra e, in un certo modo, legata all’eternità? Non si aspettavano un re molto al di sopra di ogni immaginazione umana? Sotto l’influsso di tale ispirazione, avrebbe dovuto essere molto diversa la formulazione della supplica degli anziani al profeta: “Samuele, intercedi per noi presso Dio! Questi re, che governano altre nazioni, sono uomini miserabili, egoisti e egolatri, che disprezzano la natura umana e cercano di schiavizzare i sudditi, per il loro servizio e la loro gloria personale. Chiedi al Signore un monarca come mai è stato dato a nessun popolo! Sia egli tra noi il riflesso della bontà divina! Regni su di noi come Dio stesso e ci ottenga la più bella manifestazione della nostra teocrazia”.
Ma essi, sconvolti dall’anelito di essere anche loro “come tutti i popoli” (I Sam 8, 20), non seppero interpretare il soffio della grazia. Anzi al contrario, lo materializzarono, dicendo soltanto “stabilisci per noi un re che sia nostro giudice” (I Sam 8, 5), e sollecitarono l’umanizzazione di quello che Dio certamente voleva dare loro, con immensa abbondanza, in campo soprannaturale. Ma Dio approfitterà di questa infedeltà per realizzare la maggiore delle meraviglie, incomparabilmente superiore a quella che gli Ebrei desideravano: una volta fondata la monarchia in Israele e, in seguito, stabilita la nuova dinastia a partire da Davide, da essa nascerà il vero Sovrano, non solo del popolo giudeo, ma di tutto l’universo. Re di maestà e grandezza divina, la cui origine si perde nell’eternità, che scende da altezze infinite per salvarci; Re che dà il suo prezioso Sangue per i sudditi: Cristo Re, che celebriamo in questa Solennità.
II – Solenne proclamazione contro il relativismo
Papa Pio XI1 insegna come, nel corso della Storia, le feste della Santa Chiesa sono nate e sono andate ad aggiungersi all’Anno Liturgico, istituite e organizzate dalla Cattedra infallibile di Pietro con lo scopo di beneficiare i fedeli in funzione delle necessità di ogni epoca. Così, nel prestare il culto ai martiri, fin dai primi tempi, la Liturgia incentivava alla fedeltà, facendo sì che le persone si sentissero sostenute dal loro esempio e non rinnegassero la Fede in nessuna circostanza. Più tardi, debellate le persecuzioni con l’azione della grazia ed entrando i cristiani in un periodo di pace, si commemorarono anche le vergini, i confessori e le vedove, innumerevoli figure con le quali la Chiesa andava arricchendosi. Sorgono allora le feste in onore di Maria e, alla fine del Medioevo, quando diminuisce il fervore per il Santissimo Sacramento, si costituisce una celebrazione appropriata, con la finalità di adorare il Corpo Sacro di Nostro Signore Gesù Cristo sotto le Specie Eucaristiche. Posteriormente, prosperando la freddezza rigorista che gli errori del giansenismo avevano diffuso, fu istituita la festività del Sacro Cuore di Gesù. Infondere il coraggio e riaccendere la speranza della salvezza eterna fu il suo effetto.
Infine, il giorno 11 dicembre 1925, facendosi già sentire la terribile e travolgente ondata di laicismo che avrebbe invaso tutti i paesi e avrebbe portato l’umanità a girare le spalle a Dio, nel momento in cui molti cattolici davano il loro sangue in difesa di Cristo e della sua Chiesa, Papa Pio XI2 fece uso del potere conferito a Pietro con le chiavi del Regno dei Cieli, e proclamò con la sua voce infallibile: Cristo è Re! L’Enciclica Quas primas, che stabilisce la festa della regalità di Nostro Signore Gesù Cristo al termine dell’Anno Liturgico,3 aveva uno speciale significato come opposizione al relativismo e all’ateismo: dichiarava al mondo che tutto ha il suo fine e il suo principio in Cristo, Re dell’Universo.
III – Gesù dichiara la sua regalità
Nella prima lettura (Dn 7, 13-14) di questa Liturgia, la visione di Daniele ci mostra il Signore Gesù nella manifestazione della sua grandezza regia: “Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue Lo servivano” (Dn 7, 14a).
Infatti, Egli è il Re glorioso, coronato nell’eternità e detentore dell’autorità su tutta la creazione. Ma, paradossalmente, il Vangelo di San Giovanni presenta la figura di questo Re in una situazione di umiliazione, con le mani legate, in procinto di essere flagellato, coronato di spine, condannato dal suo stesso popolo, ucciso e crocifisso. E, allora, ha inizio uno dei più bei dialoghi di tutta la Scrittura.
Il governatore interroga l’Onnipotente
In quel tempo, Pilato disse a Gesù: 33b “Sei Tu il Re dei Giudei?”
Dalla domanda, si capisce che il governatore aveva già udito le denunce dei membri del Sinedrio contro il Divino Prigioniero (cfr. Mc 15, 3; Gv 18, 28-30) e desiderava conoscere le sue intenzioni. Avrebbe Egli voluto salire al trono di Israele e far insorgere i Giudei contro il dominio di Roma (cfr. Lc 23, 1-2)? Che si fosse arrogato, di fatto, il titolo di Messia, quando fu acclamato dalla moltitudine come Figlio di Davide, entrando a Gerusalemme pochi giorni prima (cfr. Mc 11, 9-10)? Invece, il romano vedeva davanti a sé un Uomo così rispettabile, virtuoso, equilibrato e sottomesso! Si trattava realmente di un rivoluzionario?
34 Gesù rispose: “Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di Me?”
La domanda con la quale Gesù replica a Pilato è piena di simbolismo. Quest’ultimo si pone come signore assoluto rispetto a Lui, visto che Lo giudicherà. Ora, Gesù è l’Onnipotente e, se avesse voluto, avrebbe fatto tornare il suo interlocutore al nulla, o anche avrebbe potuto cancellarlo dalla memoria degli uomini. Egli sa che i Giudei Lo hanno calunniato e che il governatore agisce pressato da loro, nel timore di essere pregiudicato dai loro intrighi presso l’imperatore. Allora gli risponde pacatamente, ponendolo dinanzi al problema, come ad ammonirlo: “Questo viene da dentro di te o hai paura delle calunnie che riverseranno contro di te?”.
“Con queste parole” – commenta Teofilatto – “Gesù insinua che Pilato è un giudice parziale, come se dicesse: ‘Se dici questo per te stesso, presenta i segni della mia ribellione; se, invece, hai sentito questo da altri, apri un’inchiesta ordinaria’”.4 E Sant’Agostino sottolinea: “Gesù conosceva molto bene tanto la domanda quanto la risposta che Gli avrebbe dato Pilato. Ha voluto, però, che questa fosse espressa con parole, non affinché Lui la conoscesse, ma perché fosse scritto quello che desiderava che noi sapessimo”.5
Gesù, segno di contraddizione
35 Pilato disse: “Sono forse io giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti Ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?”
Il governatore continua ad argomentare, adducendo di non essere interessato all’arresto di Nostro Signore, che gli è stato consegnato dagli stessi Ebrei. Era questa l’occasione scelta da Gesù per dichiararSi Re, malgrado le circostanze suggerissero il contrario. Egli era entrato a Gerusalemme acclamato come Re, ma tale acclamazione corrispondeva a una concezione bassa, naturalista e terrena della regalità. La nazione voleva portare in trionfo un potentato di questo mondo, un messia politico, che, aiutato da miracoli, avrebbe dovuto procurarle una salvezza strettamente umana: l’eliminazione delle imposte e la supremazia sui Romani.
Rispetto a questa mentalità materialista, Nostro Signore sarà pietra di scandalo e segno di contraddizione (cfr. Lc 2, 34). Davanti a Pilato, rappresentante del potere supremo dell’epoca, Egli darà di Se stesso e della sua autorità regia una visione molto differente – l’unica valida –, tutta soprannaturale, che sarà odiata e perseguitata da non pochi nel corso di tutta la Storia, ma rimarrà come segno del Cristianesimo fino alla fine dei tempi.
L’onnipotenza della verità
36 Rispose Gesù: “Il mio Regno non è di questo mondo; se il mio Regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio Regno non è di quaggiù”.
Si potrebbe forse concludere che, con questa rivelazione, Gesù aveva rinunciato al suo dominio sul mondo. Tale affermazione è priva di senso essendo Lui l’Onnipotente, cui è assoggettato l’universo intero. Al contrario, vuole ricordare che Lui è innanzitutto l’Uomo-Dio, spiega San Tommaso, menzionando il pensiero di San Giovanni Crisostomo su questo passo del Vangelo: “Tu chiedi se sono Re e Io ti dico di sì. Ma lo sono per un potere divino, poiché per questo sono nato dal Padre, con una natività eterna, come Dio da Dio, e come Re da Re”.6
Pertanto, la vera portata della sua dichiarazione è questa: “Il mio Regno non è come i governi di questo mondo, né è in accordo con le sue massime”. Più ancora: come Autore della grazia e, in maniera speciale, per la Redenzione che opererà, Gesù è il Re dei cuori. Egli è venuto a offrire agli uomini la filiazione soprannaturale, che non consiste in un’adozione secondo il concetto umano, ma nella partecipazione reale alla sua natura divina, come dirà più tardi l’Apostolo San Giovanni: “Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!” (I Gv 3, 1). Sì, figli di Dio, eredi del trono celeste e principi di una casa eterna!
Pilato comprese qualcosa del significato della risposta di Gesù. Insicuro e spaventato, può darsi abbia ricevuto una grazia data dallo stesso Salvatore. Allora manifestò l’inquietudine che lo invadeva davanti a quel maestoso e incomparabile Accusato, che Si proclamava Re dell’eternità.
37a Allora Pilato Gli disse: “Dunque Tu sei Re?”
Ancora una volta Gesù non negherà la sua regalità, e su di essa farà l’ultima e più sublime delle affermazioni: l’Unigenito del Padre non è venuto a governare con la forza, ma con l’onnipotenza della verità. Egli portava la spiegazione e il senso di tutto l’ordine della creazione, iniziando così il “Regno di verità e di vita, Regno di santità e di grazia”.7
37b Rispose Gesù: “Tu lo dici: Io sono Re. Per questo Io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”.
E concludendo il dialogo – registrato in ogni suo particolare dal Discepolo Amato –, come estremo invito “intendeva convincere Pilato a unirsi a coloro che erano ricettivi ai suoi insegnamenti”.8 Come se gli chiedesse: “E tu, Pilato, sentirai la mia voce?”. Il governatore romano, tuttavia, non ha voluto rispondere a quella chiamata e ha condannato il Giusto, mosso dall’attaccamento alla sua carica. Ascoltiamo noi la voce della Verità e adoriamo il Divino Re che oggi ci incita, attraverso la Liturgia, a meditare sui fondamenti della sua regalità.
IV – Il triplice fondamento della regalità di Gesù Re per natura divina
“Il Signore regna, Si riveste di maestà: Si riveste il Signore, Si cinge di forza. È stabile il mondo, non potrà vacillare. Stabile è il tuo trono da sempre, dall’eternità Tu sei” (Sal 92, 1-2), canta il Salmo Responsoriale di questa Solennità di Cristo Re. Infatti, in quanto Figlio Unigenito del Padre e Seconda Persona della Santissima Trinità, Egli è esistito da tutta l’eternità e ha creato l’universo come suo Regno, su cui ha il diritto di governare, essendo il Signore assoluto degli Angeli e degli uomini, e il Dominatore degli inferni, tra gli altri titoli. Di conseguenza, la prima ragione del potere regio di Gesù è la sua natura divina. Prima di tutto Egli è Re perché è Dio. Tuttavia, non è attribuita la regalità alle altre due Persone della Trinità, né c’è nella Liturgia Cattolica una festa per venerare il Padre o lo Spirito Santo come Re, sebbene Essi siano stati associati al Figlio in tutta l’opera della creazione. Perché?
Re in quanto Uomo
Perché qualcuno sia re – nel senso stretto del termine – è indispensabile avere la stessa natura dei sudditi. Ora, tra le Persone Divine questa caratteristica si trova soltanto nel Figlio, visto che è stato l’unico a incarnarSi, conservando nella sua umanità la pienezza della natura divina. E a partire da allora, oltre che Creatore e Signore, Egli è diventato nostro Capo.
E qual è stato il primo trono della sua regalità? Maria Santissima! Nel suo chiostro materno e virginale l’Onnipotente ha assunto una configurazione umana, è di fatto diventato Re ed è cominciato il suo regno. Ma era necessario che la gloria di Nostro Signore, in quanto Figlio dell’Uomo, fosse totale e, per questo, sebbene avesse ricevuto il titolo di Re con l’Incarnazione, conveniva che Egli lo conquistasse anche attraverso la Redenzione.
Re per diritto di conquista
Creati nella grazia e godendo dell’amicizia di Dio nel Paradiso Terrestre, Adamo ed Eva, però, hanno peccato, abbandonando le meraviglie della partecipazione alla natura divina. Di conseguenza, i Cieli si sono chiusi e gli uomini hanno cominciato a essere concepiti nel peccato, privati della vita sopranaturale. Tutta l’umanità, schiavizzata e condannata alla morte spirituale, si trovava nelle maglie di satana.
Ciò nonostante, da quando il Verbo di Dio ha deciso di incarnarSi, il suo Sacro Cuore, divino e umano, pieno di bontà, misericordia e amore, è stato mosso dall’affetto per ognuno di noi come se fossimo tutti figli unici. Sconfiggendo il demonio, Egli ha riparato l’offesa causata dalla trasgressione dei nostri progenitori, ci ha liberato dalla macchia originale e ci ha aperto le porte della beatitudine; ha riconquistato e ci ha restituito, in alto grado, quello che era stato perso nel Paradiso, portandoci lo straordinario premio dei Sacramenti, soprattutto il Battesimo e il perdono dei peccati, beni insuperabili perché eterni, che ci santificano e ci elevano fino alla sua natura.
Inoltre, invece di incarnarSi in stato glorioso, Egli ha assunto un corpo sofferente, al punto da soffrire necessità, angustie e privazioni per noi, in tutta la sua esistenza terrena. Avendo il potere di operare la Redenzione del genere umano con un semplice atto di volontà – appena nato, con un sorriso, rivolto a sua Madre Santissima! –, ha voluto compiere la sua missione passando attraverso i tormenti indicibili della Passione e consegnando la propria vita. Ha permesso che fosse scaricato su di Lui tutto l’odio che c’è contro Dio, ha accettato di essere condannato in un giudizio totalmente ingiusto e Si è lasciato portare dai carnefici alla morte in Croce, quando aveva potere per sgominarli e annientarli in un istante. Infine, con la sua Resurrezione ha conquistato la nostra e, salito al Cielo, incessantemente offre il suo sacrificio al Padre, lungo tutta l’eternità. Così, Egli che già era Re, per natura divina e per tutte le prerogative inerenti all’Incarnazione, ha acquisito ancor più autenticamente il titolo della regalità come Redentore, per diritto di conquista.
La pienezza della regalità
Sì, Nostro Signore Gesù Cristo è Re e il suo impero si stabilisce in due tappe. Nella prima, quella di questo mondo, il suo campo di realizzazione è la Santa Chiesa Cattolica e il suo obiettivo la santificazione delle anime. La giurisdizione di Nostro Signore si esercita nell’intimo dei cuori con la grazia e, in apparenza, lascia agire gli uomini secondo i loro desideri, visto che sono ancora in stato di prova. Legifera per mezzo dell’infallibilità pontificia, giudica nel confessionale ed esegue i suoi decreti in modo non manifesto. Tuttavia, questo Regno è invincibile, come Egli stesso ha affermato quando ha promesso l’immortalità alla sua Chiesa, dicendo “le potenze degli inferi non prevarranno su di essa” (Mt 16, 18), e come già preannunciava anche la profezia di Daniele: “il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo Regno non sarà mai distrutto” (Dn 7, 14b).
Oltre a non essere distrutta – malgrado tutti i tentativi dei suoi nemici –, la Santa Chiesa continuerà a produrre innumerevoli frutti nel corso dei secoli, sempre superiori gli uni agli altri; ma i suoi ultimi e più begli aspetti brilleranno alla fine del mondo, nel giorno in cui il Divino Re consumerà la sua vittoria sulla morte, il peccato e il demonio, e sarà glorificato come fedelissimo Figlio del Padre.
Inizierà, allora, l’altra fase del suo Regno. Per questo, nella seconda lettura (Ap 1, 5-8) di questa Solennità, il Libro dell’Apocalisse ci pone davanti a un orizzonte fatto di grandezza che culmina nel Giudizio Universale: “Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti e il Sovrano dei re della Terra. A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo Sangue […], a Lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen” (1, 5-6). Tutti i popoli vedranno la gloria di Nostro Signore Gesù Cristo come Re – ora in modo evidente e ostensivo –, buoni e cattivi, quelli che vanno in Cielo e i condannati all’inferno.
“Ecco, viene con le nubi e ogni occhio Lo vedrà, anche quelli che Lo trafissero, e per Lui tutte le tribù della Terra si batteranno il petto. Sì, Amen!” (Ap 1, 7). Restaurata la creazione nel suo ordine perfetto, Egli la restituirà al Padre e dirà: “Ecco qui il potere che Io ho conquistato. Consegno nuovamente l’universo nelle tue mani”. E, in questo momento, il nostro Re avrà ricevuto la pienezza della regalità per diritto di conquista.
V – Siamo del lignaggio del Re
La Solennità di Cristo Re, invitandoci a rivolgere l’attenzione e il cuore a questi panorami grandiosi, chiede la compenetrazione di speciali responsabilità nella nostra vita.
Visto che partecipiamo alla natura divina e diventiamo figli di Dio col Battesimo, tra gli altri privilegi ci spetta anche la sua regalità, poiché, oltre a essere cortigiani di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dei re, apparteniamo alla sua famiglia come suoi veri fratelli, elevati alla categoria di principi. Egli vuol farci partecipi della felicità che possiede dall’eternità come Figlio Unigenito, godendo della convivenza e della familiarità con il Padre e lo Spirito Santo, e ci deve associare anche alla manifestazione della sua magnificenza, quando verrà alla fine dei tempi. Questa è la nostra nobiltà.
Pertanto, se ci rallegriamo per essere dello stesso lignaggio e della famiglia reale di Nostro Signore, templi della Santissima Trinità, siamo obbligati a portare questa filiazione fino alle sue ultime conseguenze nella nostra esistenza quotidiana.
Signore, sono tuo!
Cosa chiediamo nella Colletta, nella Messa della Solennità di Cristo Re? “Dio onnipotente ed eterno, che hai voluto rinnovare tutte le cose in Cristo tuo Figlio, Re dell’universo, fa’ che ogni creatura, libera dalla schiavitù del peccato, Ti serva e Ti lodi senza fine”.9 Che le creature Lo glorifichino nella sua grandezza regia! Ora, per glorificare il suo sovrano, un suddito deve, innanzitutto, essere fedele alle sue leggi e raccomandazioni.
Le Leggi del mio Re si trovano nei Dieci Comandamenti, nel Vangelo e anche dentro di me, col senso morale che ho ricevuto fin dall’infanzia. Rispetto a loro devo essere interamente retto, perseverare nella grazia di Dio, cercando di praticare la virtù al massimo, con aspirazione sempre più accentuata per la perfezione e per la santità, poiché nulla offende di più questo Re del peccato. Se, al contrario, io scelgo le vie del vizio e deformo la mia stessa coscienza per vivere nell’indifferenza, rinuncio alla partecipazione alla sua regalità e seguirò altri re: il demonio, il mondo e la carne. In questa magnifica Solennità della regalità del Signore Gesù, avendo l’anima pervasa da tante meraviglie, benedizioni e grazie, desidero rivolgermi a Lui e dire: “Signore, sono tuo! Sono tua! Nonostante le mie debolezze e fragilità, regna nel mio cuore, nei miei pensieri e sentimenti. Regna nella mia anima attraverso Maria Santissima, il trono che hai scelto per nascere, Regina perché Madre tua, e anche Madre mia”.
1) Cfr. PIO XI. Quas primas, n.21-23.
2) Cfr. Idem, n.25.
3) Secondo la deliberazione di Papa Pio XI nell’Enciclica
Quas primas, la Solennità di Cristo Re dovrebbe esser celebrata
nell’ultima domenica di ottobre: “Ci sembrò poi più d’ogni altra
opportuna a questa celebrazione l’ultima domenica del mese di
ottobre, nella quale si chiude quasi l’Anno Liturgico, così infatti
avverrà che i misteri della vita di Gesù Cristo, commemorati nel
corso dell’Anno, terminino e quasi ricevano coronamento da questa
Solennità di Cristo Re” (Idem, n.31). Nella Liturgia attuale, però,
si celebra nell’ultima domenica del Tempo Ordinario.
4) TEOFILATTO, apud SAN TOMMASO D’AQUINO. Catena Aurea.
In Ioannem, c.XVIII, v.33-38.
5) SANT’AGOSTINO. In Ioannis Evangelium. Tractatus CXV, n.1.
In: Obras. 2.ed. Madrid: BAC, 1965, v.XIV, p.565.
6) SAN TOMMASO D’AQUINO. Super Ioannem. C.XVIII, lect.6.
7) RITO DELLA MESSA. Preghiera Eucaristica: Prefazio della
Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’Universo.
In: MESSALE ROMANO. Riformato a norma dei decreti del Concilio
Ecumenico Vaticano II e promulgato da Papa Paolo VI. 2.ed.
Città del Vaticano: L. E. Vaticana, 2000, p.281.
8) SAN GIOVANNI CRISOSTOMO. Homilía LXXXIV, n.1. In: Homilías
sobre el Evangelio de San Juan (61-88). Madrid: Ciudad Nueva,
2001, v.III, p.260.
9) SOLENNITA’ DI NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO, RE DELL’UNIVERSO.
Preghiera Colletta. In: MESSALE ROMANO, op. cit., p.280.
Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” da Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.
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